Nel romanzo “La profile picture di Marcus White” invece è la fotografia che il protagonista utilizza sui suoi profili social a rimanere sempre tale e quale mentre l’uomo, uno scrittore alle prese con un saggio dedicato a Oscar Wilde, alla morte del padre ne assume le caratteristiche all’età del decesso. Canizie all’ultimo stadio su capelli radi ma lunghi. Peli nelle orecchie e nel naso. Una macchia di vecchiaia – il padre di Marcus muore a ottantacinque anni – sulla fronte. Unghie dei piedi arcuate e coriacee. La testa, però, resta la stessa di uno scrittore trentacinquenne e nonostante il disagio che un’apparenza da vecchio è in grado di comportare decide di non cambiare alcunché nella sua vita: il blocco decisionale su ogni tipo di scelta resta inalterato, così come il suo scetticismo verso un’umanità fiaccata dai numerosi compromessi della modernità. La sigaretta elettronica, la birra analcolica, le biciclette con la pedalata assistita, ovvero quelle usanze paradossali pensate solo per depotenziare la natura delle cose. Marcus così si trasferisce con la moglie e la figlia nella zona industriale della sua città, un’area misteriosa di cui aveva sempre notato la segnaletica stradale posizionata in tutte le altre zone limitrofe ma dove nessun essere umano aveva mai messo piede prima di allora, tanto che una corrente dell’opinione pubblica ne metteva in dubbio l’esistenza, riconducendola a una sorta di Area 51 in cui servizi segreti, CIA, poteri forti, big pharma e altre organizzazioni di fantasia esercitavano esperimenti nucleari con creature aliene. Nel suo nuovo appartamento a ridosso dell’acciaieria Marcus scopre invece una nuova appagante dimensione e soltanto l’immaginario descritto da una serie di successo dedicata al disastro di Chernobyl lo induce a dotarsi di un piccolo camper Volkswagen che equipaggia di tutto punto per evadere verso le sue mete preferite di vacanza in montagna e di mare, luoghi in cui non è tenuto a nascondere la sua condizione di vecchio ma dotato ancora di una mente giovane.