karaoke plays

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Una volta, tantissimi anni fa, nel mezzo di una serata in un locale con l’orchestra di musica da ballo in cui suonavo, è scoppiata una rissa. Facevamo uno dei nostri cavalli di battaglia per portare l’allegria agli avventori – questo era il nostro lavoro – quando due uomini si sono alzati da un tavolo e hanno iniziato a menarsi. Altri due, inizialmente intervenuti per separarli, sono passati a prendersi a pugni. Poi altri due e così via. La rissa si è diffusa a macchia d’olio e io ho assistito a questa specie di fenomeno fisico di diffusione atomica dall’alto del palcoscenico. Il cantante si era accorto in ritardo della violenta zuffa – il gruppo di contendenti oramai stava iniziando a sfasciare il locale – e, al microfono, ha lanciato un appello a mantenere la calma. In quel momento ho avuto paura che la rissa disseminasse le sue conseguenze fino ai miei strumenti che dovevo ancora finire di pagare. Poi ho notato uno dei baristi afferrare una sedia del magazzino delle bibite e lanciarsi sul mucchio, spaccandola in testa stile saloon a quello che sembrava il più esagitato dei facinorosi. A quel punto si è precipitato nella sala quello che dopo ho scoperto essere il proprietario con una pistola spianata in mano. La rissa si è separata in due ali come quel film in cui il Mar Rosso si apre al passaggio di Mosè ma il vero miracolo è stato un altro: tre o quattro agenti – non ricordo se Polizia o Carabinieri – usciti da non so dove lo hanno istantaneamente immobilizzato a terra. Così abbiamo smesso il pezzo la cui esecuzione avevamo continuato come delle macchine da karaoke e ci siamo guardati negli occhi, scambiandoci considerazioni sulla pericolosità del nostro lavoro.

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