La distanza tra il giorno di oggi e l’uscita dell’album di esordio dei Joy Division è la stessa che passa tra il 1900 e l’entrata dell’Italia in guerra. Le date della liberazione o dello scoppio del conflitto più cruento del novecento le tiro in ballo spesso per rendermi conto di quanto tempo è trascorso tra un fatto e un altro. Per esempio io sono nato a tanti anni di distanza dal 1945 quanti ci separano oggi dal 1997 che poi è un anno dietro l’angolo, basta allungare il braccio e lo si può ancora toccare con il dito, fresco di stampa e di avvenimenti che ci portiamo ancora dentro proprio come il 25 aprile più famoso della storia. Quarant’anni sono una bella fetta di secolo e la cosa sconvolgente è che il disco con la copertina più iconica della storia della musica vive e lotta come allora sullo scaffale in cui tutti i 33 giri della mia collezione aspettano che io li estragga dal loro posto per scatenare per l’ennesima volta la magia della puntina sul vinile. Leggerete quindi milioni di aneddoti sulla storia di “Unknown Pleasures” in questo anniversario e se volete sapere il mio sappiate che preferisco di gran lunga “Closer” ma non ditelo troppo in giro. Vi segnalo solo questo articolo di Giulia Cavaliere pubblicato sul Corriere online in cui, a proposito dell’album, si dice che
“I pezzi scritti e finiti nell’album erano già stati suonati live molte volte nella loro forma più pura, più calda, più rock e insomma meno algida: solo in seguito sono diventati vere e proprie tracce su cui sperimentare con registrazioni localizzate fuori dalla sala d’incisione, campionamenti, sovraincisioni e un utilizzo dello spazio e della tecnologia funzionale alla resa voluta da Martin Hannett.
In realtà i campionatori non erano ancora stati inventati o, meglio, c’era in giro il mellotron – vera e propria arma di distruzione di massa del progressive – a cui si faceva ricorso per riprodurre suoni ma in “Unknown Pleasures” non è stato mai usato. Il Fairlight (quello di “Owner of a lonely heart” degli Yes, per intenderci) doveva ancora arrivare a portare i suoi suoni artificialissimi nelle hit degli anni ottanta. Comunque non importa. “Unknown Pleasures” resta una pietra miliare dell’evoluzione dell’umanità.