Anno 2020. L’imprenditore Mark Zuckerberg viene a conoscenza, grazie a un post presente su uno spin-off di una pagina di neocatecumenali fuoriusciti dalla redazione di Radio Maria, di una profezia secondo la quale da una combinazione segreta di tasti premuti a browser aperto sul registro attività del proprio profilo Facebook si attivano irrimediabilmente tutte le procedure di lancio dei missili nucleari presenti al mondo. Decide così di spegnere tutti gli interruttori di tutti i data center sparsi per il pianeta che alimentano il social network più diffuso della storia dell’Internet. Malgrado un team di manager pronti a salvare il salvabile tenti in tutti i modi di fermare la volontà del fondatore nonché amministratore delegato, Zuckerberg riesuma un vecchio portatile usato nel 2004 per lavorare sulle prime funzioni utili a lanciare il suo prodotto su scala mondiale e sul quale aveva programmato una exit strategy sommaria ma efficace in caso di disgrazia.
Dopo varie peripezie Zuckerberg riesce a rifugiarsi dai sicari assoldati dal CDA della multinazionale per eliminarlo nel retrobottega di un negozio di elettronica di proprietà di un suo vecchio compagno di studi da cui manda in esecuzione la routine killer. Nel giro di qualche minuto l’intero sistema si spegne ovunque, proprio mentre sulla pagina Facebook di un piccolo paese dell’hinterland milanese, uno di quegli spazi nati con lo spirito di rievocare i bei vecchi tempi andati e poi involutosi in un ring virtuale in cui leghisti e fasciogrillisti locali se la prendono con tutto e tutti, si sviluppa il dibattito sulla parzialità dell’amministratore della pagina stessa che, a sua discrezione, cancella o lascia i commenti e i post degli iscritti. Uno dei membri più illuminati – protagonista della storia – fa così notare agli altri che quella su cui si stanno esprimendo è comunque una pagina Facebook di un privato, attiva grazie a una piattaforma gestita da un privato, entrambi con il potere assoluto di disattivare o inibire l’accesso altrui e comuqnue fare il cazzo che vogliono. “Facebook è grande”, stava appunto digitando il protagonista della storia, “ciascuno di noi è libero di creare la propria pagina sul nostro paesello, di invitare chi preferisce e di scrivere tutto quello che gli passa per la testa”. Pochi secondi dopo questo monito si manifesta il blackout totale.
A quel punto, la solita macchina del fango messa in moto dai media di regime diffonde così la fake news che la colpa del downtime di Facebook è proprio dell’illuminato temerario che ha boicottato l’Internet – secondo loro – perché membro di un’organizzazione anarco-insurrezionalista, una di quelle che i servizi segreti tirano in ballo per distrarre l’opinione pubblica dai problemi concreti.
Zuckerberg così si camuffa da persona normale e si precipita a salvare il protagonista dalle ritorsioni.