Sono in molti a sostenere che il pubblico che si reca in piazza San Giovanni per assistere dal vivo al concertone del Primo Maggio sia cambiato rispetto all’idea che ne abbiamo noi che, quel concertone, lo abbiamo inventato, costruito, decantato, osannato, criticato. Io ci ho pure suonato, ma questa è un’altra storia.
Dove sono finite le belle ragazze di sinistra vestite solo con il top striminzito che, sulle spalle di qualche loro amico (di norma un maschio altrettanto di sinistra ma confidente nel fatto che le belle ragazze di sinistra vestite solo con un top striminzito siano poco rigorose riguardo ai parametri di avvenenza delle persone con cui condividere alcune parti del loro corpo e del loro spirito libero) cantano a squarciagola “I cento passi”, “Bella Ciao” e “Liberi tutti”, arrivando sfatte e sfinite a fine Primo Maggio, cotte dal sole e fiaccate dalla birra, ma comunque disponibili a sopportare per ideologia e per esasperazione sonora anche gli ospiti di fine serata (ma in prime time di RaiTre) combo improbabili come il cantautore ottantenne accompagnato dall’orchestra della RAI diretta dal chitarrista metal sulla cresta dell’onda oppure il caos della musica balcanica (prima che Elio finalmente dicesse che ha rotto i coglioni) con duecento tra ballerini e musicisti sul palco in un tripudio di danze e musiche popolari dell’ex-Jugoslavia? Dove sono i bei ragazzi di sinistra che sventolano con orgoglio le icone della sinistra, a partire dai quattro mori della Sardegna?
Se non ricordo male, è stata l’edizione dello scorso anno a segnare il punto di svolta. Da allora sul palco del concertone si alternano trappisti di grido – nel 2018 Sferaebbasta, quest’anno Ghali – e i ragazzini che manco sanno chi sono CGIL, CISL e UIL (e io credo nemmeno la sorella di Cucchi, ma spero di sbagliarmi) vanno sotto il palco per fare le story da vicino ai loro beniamini che non hanno mai visto più grandi delle dimensioni del loro smartphone. Non so se sia mai stata una celebrazione in musica del lavoro o un evento ebbasta, di certo ora il concertone del Primo Maggio è solo un evento ebbasta.
Confesso di non aver visto ieri tutto il concerto (su RaiSport c’erano le gare uno delle finali dei play off dei campionati di volley femminile e maschile) però ho assistito ad alcuni momenti che – a mio parere – sono significativi circa lo stato di salute del Primo Maggio, dell’omonimo concerto, della musica italiana tout court.
Intanto vi propongo un test: immaginate di essere un/una fan quattordicenne di Ghali, magari proveniente da una di quelle periferie romane che tirano i calci ai panini destinati a qualche minoranza affamata, in piazza San Giovanni in piedi da ore, e sul palco c’è Manuel Agnelli (il noto giudice cagacazzi di XFactor) che canta per voi una versione piano e voce di “Perfect Day” di Lou Reed. Potete scrivere nei commenti qui sotto, in modo creativo, quale potrebbe essere il vostro stato d’animo.
Poi vi tocca assistere a un gruppo di cinquantenni che solo per il fatto di avere con sé sul palco un rapper romano (Rancore), peraltro sconosciuto ai fan di Ghali, vi canta la storia del drop-out scolastico di un vostro coetaneo ma in una lingua arcaica, l’italiano di Daniele Silvestri del millennio scorso, che nessuna delle nuove generazioni nemmeno si fa la fatica di interpretare con Google Translate, e con il solito approccio degli adulti professoroni che insegnano ai giovani a essere giovani con la presunzione di aver capito tutto e di saperlo spiegare.
Quindi il leader della sinistra indie, che si contrappone alla destra trap, un certo Lodo Guenzi – anch’egli noto giudice buonista di XFactor – a un certo punto avvisa le centinaia di migliaia di fan di Ghali di stare pronti perché si balla. Salgono così sul palco i Subsonica, una band che sta ai fan di Ghali come Gino Latilla stava a me quando nell’84 giravo conciato come Robert Smith.
I Subsonica attaccano la loro performance allo stesso modo di tutte le altre vecchie partecipazioni al concertone del Primo Maggio: “Sole silenzioso” in versione reggae acustica, la canzone di “Amorematico” scritta per i fatti del G8 di Genova che stanno ai fan di Ghali come il Risorgimento stava a me nell’84 (ancora conciato come Robert Smith). Quindi, anziché puntare sulle canzoni dell’ultimo disco che magari, tra un brano di Ghali e un altro, ai fan di Ghali sotto il palco è capitato di skippare dalle loro playlist di Spotify, ripropongono un set da concertone del Primo Maggio per cinquantenni: “Liberi tutti”, che sotto non canta nessuno perché nel frattempo si sono avvicinati i fan di Gazzelle che suonerà subito dopo, ma che finalmente svela l’arcano della co-partecipazione di Daniele Silvestri alla composizione del brano, poi quella sintesi di subsonicità che è “Veleno”, per chiudere con “Tutti i miei sbagli” cantata senza stonare nemmeno troppo quando sale di tono. Un orgasmo per i cinquantenni, un punto interrogativo per tutti gli altri che invece dopo, con il romanissimo Gazzelle, tornano finalmente a dare un senso a quel carrozzone anacronistico per il quale sono in piedi da ore.
A questo punto, permettetemi una considerazione per il momento della rivalsa per quei cinquantenni appena soddisfatti dall’orgasmo di cui sopra. Pensavo giusto al fatto che la cosa che distanzia di più i trapper dal concetto di rock è il fatto di suonare dal vivo nemmeno con le basi, ma con le basi comprensive della voce passata all’autotune. Pensavo a come starebbe la trap con gente che suona sotto, ma il problema è che i ragazzi, oggi, non suonano più gli strumenti che suonavamo noi. La chitarra, la batteria, il basso, i synth. Stanno tutti attaccati a Fortnite o li trovi su Instagram a pubblicare foto in cui si drogano. Così mi ha piacevolmente sorpreso il fatto che Achille Lauro si sia esibito con una band, fino a quando ne ho riconosciuto i membri: il bassista delle Vibrazioni (classe 1978), Federico Poggipollini, chitarrista di Ligabue (classe 1968), Sergio Carnevale dei Bluvertigo alla batteria (classe 1970). La morale della storia è che i trasgressivi della trap, se devono suonare dal vivo, possono solo scendere a compromessi con gli idoli dei cinquantenni di cui sopra perché, altrimenti, non trovano nessuno e si attaccano al cazzo. D’altra parte, ai musicisti rock come il bassista delle Vibrazioni o il chitarrista di Ligabue non sembra vero di salire in cattedra per far vedere ai millennials (soprattutto a quelli con la faccia tutta impiastrata di scarabocchi) come si fa a fare il rock. Dulcis in fundo, quando sale sul palco Ghali e si capisce subito che suona con le basi comprensive della voce con l’autotune, i fan non si pongono nemmeno il dubbio della differenza, di come sarebbero le canzoni di Ghali se ci fosse uno di quei batteristi che sanno fare il breakbeat dal vivo come Ninja dei Subsonica, o un bassista con lo stick, una cosa che sta ai fan di Ghali come il clavicembalo a me che eccetera eccetera.
Avete capito cosa intendo. La lezione che ho imparato è che se hai più di quattordici anni quello che dice Ghali quando canta non si capisce, un po’ come gli ultrasuoni per i cani o certe frequenze che non cogliamo più diventando vecchi. Io non ci ho capito un cazzo, ma forse è perché a cinquant’anni suonati sono diventato sordo. Proverò ad ascoltare l’esibizione di Ghali con le cuffie wireless per la tv come fa mia suocera, classe 1930, quando guarda i film.