La prima volta che la campagna pubblicitaria di “Acqua e sapone”, la catena di lavanderie Esselunga che nei megastore si affiancano ai supermercati, mi ha colpito è stata a causa del doppio senso nemmeno troppo sottile dell’headline “Fallo più spesso”. L’intenzione del copy di stimolare la componente femminile della coppia a godere con maggiore frequenza dei fine settimana di libertà facendo cose come organizzare scampagnate con i figli, darsi al jogging, acconsentire a cenette romantiche o a seguire i propri social facendo shopping affidando i propri panni zozzi alla lavanderia dell’Esselunga è stata superata dal primo livello di equivocità, intendendo il messaggio come un’esortazione a trombare di più perché trombare permette di apprezzare le cose belle della vita. La seconda volta, invece, ho inteso il triplo senso carpiato con avvitamento: dedicarsi alla ricerca di un membro maschile dal diametro superiore è alla base di tutte quelle attività di cui sopra. Un’accezione ancor meno sottile, sotto tutti i punti di vista.
Ma non dovete fraintendere. Con “Acqua e sapone” non c’è nulla di irrisolto. Non mi sono mica offeso quella volta in cui ho portato a lavare il mio (unico) giaccone invernale della Roy Rogers e la commessa, durante la fase di accettazione dell’indumento, ha fatto una specie di smorfia di disgusto per la mia condizione di povertà mista a sciatteria sottolineando quando il mio (unico) giaccone invernale fosse pieno di pallini. Non mi sono mica offeso e, uscendo, ho subito chiamato mia moglie per confrontarmi sul fatto che la commessa di una lavanderia, probabilmente abituata a ben altro valore degli indumenti dei quali è chiamata a prendersi cura, aveva dato un ulteriore scossone alla mia autostima facendomi precipitare verso uno stadio più profondo di depressione.
Comunque ieri, al momento del ritiro del mio (unico) giaccone invernale pieno di pallini ma, questa volta, pulito, mi sono preso una piccola rivincita personale. Un cliente grande e grosso e all’apparenza con vestiti molto più costosi e alla moda dei miei ha subito un trattamento simile riguardo a una trapunta sulla quale, la stessa commessa, ha trovato numerosi fili di lana tirati. Oltre alla coperta, l’uomo ha consegnato quattro pantaloni di una taglia spropositata, a giudicare dalla vita, e poi, al momento di registrare il tutto, ha dato alla commessa il suo cognome. Un cognome piuttosto semplice e comune che però, pur in assenza di rumori o musica di sottofondo, la commessa non ha afferrato. “Bonomini”, ha ripetuto spazientito il cliente.
La commessa, recidiva, ha chiesto lo spelling nel quale si è persa in diversi passaggi e, una volta completato, ha letto “Bonomini” con un’espressione sorpresa, quasi a sottolineare la facilità di quel cognome e con l’intento di trasferire al cliente l’intera responsabilità del fallimento della comunicazione precedente. La cosa si è ripetuta al contrario immediatamente dopo: la commessa ha messo al corrente l’uomo del totale di sedici euro e il signor Bonomini, forse per ripicca, si è fatto ripetere la cifra una seconda volta.
Ho riflettuto un po’ su quello che stava accadendo e poi ho pensato che sì, anch’io proverò a farlo più spesso. C’è sempre qualcosa da imparare quando si ritirano i propri indumenti puliti dalla lavanderia.