L’annosa questione secondo la quale i vecchi (intesi come persone dai trent’anni in su) dovrebbero finirla di fare i giovani per insegnare ai giovani a essere giovani è urgentissima ai nostri tempi in cui la giovinezza si protrae fino ai sessant’anni e ve lo dice uno che fa l’insegnante e a cinquantadue si è appena comprato la t-shirt di “Substance” dei New Order.
Obnubilati da questa presunzione di risultare ancora competitivi dal punto di vista sociale non ci rendiamo conto di quanto i giovani, quelli veri, quelli che a undici anni sanno a memoria le parole di Chadia Rodriguez che dicono
“Volo come un colibrì ah, cagna con il pedigree ah
Chiamami troia che ti rido in faccia, che mi vedi i denti col grill ah
Bella, nuda, matta, sempre tutta fatta
Così tanto TH, che ho la voce di Bat Man.
Tu, i documenti studentessa, sui cartelloni non ammessa
Imprenditrice di me stessa, pila di soldi cosi spessa”
ci ridano in faccia quando ci mettiamo in piedi sulla cattedra e li invitiamo a fare lo stesso e a strappare le pagine obsolete dei loro libri di testo. La retorica non è nelle loro corde e a provare a intercettare il loro disagio con una proposta costruttiva come può essere quella di Rancore, il rapper che con Daniele Silvestri ha vinto il premio della critica di Sanremo (ovvero di una giuria di quei vecchi che fanno i giovani per insegnare ai giovani a essere giovani) corri il rischio che denuncino ai genitori il fatto che sei salito in piedi sulla cattedra e hai strappato delle pagine del libro di testo ritenendole arbitrariamente inutili.
Ovviamente si tratta di una metafora ma il senso l’avete colto: i ragazzi – e per ragazzi intendo appunto quelli da dieci/undici anni in su – oggi hanno saltato a piè pari una/due generazione di riferimento e sembrano trovarsi più a loro agio con le persone più facilmente riconducibili a categorie standard come i nonni, probabilmente anche perché i nonni hanno una situazione economica più rassicurante – grazie alla pensione retributiva – e possono coprirli di gadget elettronici senza fare rate. Come biasimarli? Dareste retta a gente che nel 1983 si conciava come Robert Smith per andare a scuola o che si faceva beccare con gli acidi nella Nivea alla dogana in ritorno dalla gita ad Amsterdam?
A settembre il punto di riferimento per la didattica fricchettona, quella che oggi ricorre nell’agenda di ogni ministro dell’istruzione all’avanguardia, che si trova in qualunque documentazione compilata dagli addetti ai lavori e che si nutre di vere e proprie intuizioni da poeti estinti come la classe capovolta, tanto per dirne una, compie trent’anni. Quasi trent’anni fa il prof. John Keating – il cui alter ego in carne e ossa, paradossalmente, poi si è suicidato come uno dei suoi finti alunni – infondeva ai suoi studenti il germe della ribellione e dell’utopia della rivolta al sistema. Il sogno epicureo di cogliere l’attimo per poi capitalizzarlo in una società basata sullo stoicismo, che è un po’ come fare lo sci di fondo. Bella l’idea ma, sulla neve in pianura, devi comunque darci dentro con le gambe e ti devi quindi allenare con un insegnante tradizionale.
Come gli undicenni di oggi, il film in questione, ovvero il sopravvalutatissimo “L’attimo fuggente” o “Dead Poets Society”, ambientato nel 59, ha saltato – qui in Italia – due generazioni di ribelli (quella del 68 e quell’altra del 77) ed è atterrato in piena pace sociale post riflusso. Questo ha permesso il primato dell’aspetto romantico a scapito di quello trasgressivo del film perché era l’89, c’erano ancora tanti muri da abbattere e la socialdemocrazia sembrava ancora una soluzione possibile.
Ma le cose, come sappiamo, sono andate diversamente. Robin Williams è uscito di scena in modo drammatico e gli insegnanti post-fricchettoni non se la sono cavata molto meglio. L’idealismo è stato corroso fino alla morte dal populismo e dall’antipolitica e oggi i figli dei quarantenni che vivono su Facebook arrivano a scuola già preparati a un eterno presente. Guai a fargli la paternale e a intercettare il loro mondo pensando di comprenderlo perché comunque la trap e il rap- che del loro mondo sono la colonna sonora – solo a noi sembrano una semplificazione della realtà che ci illude di poter costituire un piano di confronto.
Se volete un consiglio, evitate di mettervi in piedi sulla cattedra e di fare i capipopolo. Il loro cinismo vi metterà sempre in una posizione che non è nemmeno l’altra parte della barricata perché c’è talmente nulla nelle loro vite che nemmeno cercano lo scontro. Il loro “Carpe Diem” digitale è così istantaneo che persino i migliori visori da presbiopia senile ce lo faranno mai cogliere.