La fiction italiana ha dei seri problemi quando narra le storie ambientate nel passato recente. Quando ci sono di mezzo gli anni settanta, poi, si cade spesso nel ridicolo. I limiti della nostra cinematografia sono spesso riconducibili intanto alle facce degli attori italiani di oggi che, anche quando sono truccate da italiani di ieri, risultano poco credibili. Si calca spesso troppo la mano sugli stereotipi estetici e, se provate a prendere qualche foto dei vostri nonni o dei vostri genitori all’epoca (oppure se avete la mia età o siete più vecchi vi basta ricordare come eravamo) non troverete nessuno così messo male. C’è anche un fattore di evoluzione del nostro aspetto, passatemi il termine. Ai tempi le dentature perfette erano rare come certe bellezze evidentemente frutto di una fase genetica (spero si dica così) determinata da un generale miglioramento delle condizioni economiche e sociali degli italiani. E, ancora, i fisici maschili non erano così pompati e curati come quelli degli attori di oggi tanto che la moda stessa, così attillata, era pensata su taglie e proporzioni nettamente diverse. Sarebbe bello approfondire questo tema, magari da gente meno cialtrona di me.
Un altro tema che contribuisce a marcare la differenza abissale con la fiction USA in costume sono i dialoghi. Le nostre sceneggiature sono spesso riempite di battute impossibili in natura. Questo per un difetto di base: la fiction italiana sugli anni settanta deve per forza inquadrare al massimo gli avvenimenti nel contesto politico dei tempi. Non che questo aspetto sia secondario, tutt’altro. Ma gli autori potrebbero fare uno sforzo per mantenerlo centrale nella storia in modi meno artificiali.
Per farvi capire cosa intendo, ho visto una parte di “Mia”, il film tv dedicato a Mia Martini. C’è un punto in cui Mia Martini si incontra con Franco Califano per prendere accordi sul pezzo che lui dovrà scrivere per lei, che poi sarà “Minuetto”, uno dei più grandi successi della cantante. Nella scena successiva, Mia Martini è a casa con la sorella Loredana Bertè e, di mattina, arriva un mazzo di fiori con allegato il testo della canzone fresca fresca di scrittura. Il campanello suona, Loredana apre la porta e ritira la consegna. Mia si sveglia e va vedere all’ingresso che succede. Potete seguire la scena qui, più o meno a 00:39:48.
Ecco cosa si dicono le due protagoniste:
Mia: -Chi era?
Loredana: -Questi (fiori) sono per te. E anche questa (la lettera con il testo di “Minuetto”)
Mia: -Ma che vizio che c’hai di prendere la roba mia… anche quella camicia!
Loredana: -Guarda che questa qui l’ho presa a Londra, al concerto di Crosby, Stills, Nash & Young, micaaa… (come a dire: facciamo canzonette solo perché ce lo impone l’industria musicale, se dipendesse da me saremmo folksinger impegnate)
Mia: -Eh appunto, ti ricordo che c’ero anch’io a quel concerto e quella camicia è mia.
Loredana: -Guarda che siamo sorelle io te, non lo so. Dovremmo dividerci tutto e stai lì attaccata alle cose tipo polipo. Scusa, maaaa… l’abolizione della proprietà privata che cos’è, un concetto astratto? E pure il femminismo, Mimì, te lo dico, eh. No, se sei messa come dice ‘sto pezzo… ciao! (ecco qui i temi portanti del dibattito dell’epoca sintetizzati in una battuta di conversazione. Quindi fatemi capire: negli anni settanta le persone si svegliavano e prima di colazione e sentivano già il bisogno di ricordarsi reciprocamente quali erano le rimostranze dei movimenti dell’epoca?)
Mia: -Ti ho preparato la mousse di cioccolato, è in cucina, così magari ti addolcisci un po’ (attenzione: ma allora c’è una parte della società italiana che auspica nel disimpegno. Ecco la maggioranza silenziosa. Ecco i nemici del popolo.)
Loredana: -Guarda che qui succede un casino! Stragi, attentati, colpi di stato. E questi scrivono ancora ‘sta roba! (ma c’era bisogno di uno spiegone come se Mia non sapesse quello che stava succedendo? Risulta palese che Loredana la ragguaglia solo per mettere al corrente chi sta guardando la tele nel 2019 che invece è il 1973)
In questo passaggio manca la naturalezza, si percepisce in eccesso l’espediente narrativo finalizzato a sensibilizzare il pubblico sul contesto, rendendo surreale la scena e togliendo ogni volontà di proseguire la visione allo spettatore mediamente intelligente.