Ho risolto uno di quei problemi in cui si ha la somma e la differenza tra due numeri e ci viene chiesto di calcolarli. Quello più grande equivaleva alla distanza, da misurare con un righello, tra il giorno di oggi e le date di alcuni concerti a cui ho deciso non non participare. Anzi, il rischio è che il numero in questione tenda all’ignoto, se non proprio all’infinito, perché al momento non ne ho più voglia. Partire presto con l’ansia di vivere il sound check e l’atmosfera pre-concerto che poi, alla fine, risulta deludente. La calca fuori – che mi supera vergognosamente in giovinezza – con il freddo, non sapere dove lasciare la giacca, il caldo dentro, quelli davanti più alti, gli smartphone accesi, il pubblico antipatico, l’attesa del brano preferito, il vuoto lasciato dalla fine dell’esecuzione del brano preferito, la fine finta, i bis, la fine vera, tornare a casa, il ronzio nelle orecchie. Il numero più piccolo ha invece le dimensioni di una parola: ragazzi. Sono l’unico che chiama i propri alunni di quinta ragazzi, mentre per le colleghe sono ancora bambini. Chi delle bambine deve ancora andare in bagno? sento chiedere dalle altri classi, mentre io saluto dicendo buongiorno ragazzi. Se sono l’unico a farlo ho capito di sbagliare, perché tolgo probabilmente alla mia classe una parte di infanzia che non avranno più indietro. Nemmeno se li aiuto a risolvere quel problema di cui ho scritto sopra in cui ci sono una somma e una differenza tra due numeri e dobbiamo calcolarli.