Non passa giorno che non mi chiedano di mettere “Happy birthday”. Quando c’è qualche minuto di pausa, se c’è un po’ di tempo prima di mettere via la roba in cartella, nell’intervallo lungo dopo la mensa e in quello corto, a metà mattinata. “Maestro”, mi chiedono, “metti Happy birthday?”, doppiando sia la pronuncia della p di happy che la b di birthday e collegando le due parole in una sola. “Maestro”, diventa, “metti eppibberdei?”. La regola è di non ascoltare in classe canzoni che contengano parolacce e questo esclude praticamente la totalità della musica trap. Ma eppibberdei dice solo stronzo due volte e figa una sola e poi la barbarie è la canzone in sé, stronzo due volte e figa una sola alla fine sono niente rispetto a concetti che, in teoria, a dieci anni i bambini non dovrebbero cogliere.
Eppibberdei parla di money, di gang, di tipe che ballano il reggaeton – è facile immaginare come – e persino di Kurt Cobain e Curtney Love che, poverini, sono finiti in un pezzo trap loro malgrado ma solo per la droga, mi vien da supporre. Poi i soliti orologi costosi e l’abbigliamento firmato perché il concetto è che quando hai successo e sei ricco sfondato è il tuo compleanno tutti i giorni.
Ai bambini però continua a scappar da ridere su stronzo due volte e figa una sola. Sembrano sinceri perché diventano rossi, sanno che non sarebbe permesso, e come premio per la nostra complicità gli metto eppibberdei. E poi su Spotify non è nemmeno marchiato come “explicit”, quindi non ho scuse. Parte eppibberdei e tutti iniziano a muoversi e a gesticolare con le movenze di un feeling che non gli appartiene perché è quello degli afroamericani e però, per i ragazzini, è solo un lasciapassare per essere perfettamente omologati ai loro coetanei. Cantano in coro qualcuno dei passaggi con il flow più marcato ma nemmeno due beat e sono già fuori tempo. La base è bassa ma non si può certo ascoltare eppibberdei a un volume esagerato, chissà cosa pensano di me le colleghe.
Non si può nemmeno cantare troppo forte. Cantano eppibberdei tutti in coro e mi accorgo di aver lasciato il vasistas aperto così mi precipito a chiuderlo ma è troppo tardi. Ci sono i genitori che ritirano i bambini che non pranzano in mensa che guardano verso di me, fuori dal cancello, e mi chiedo che cosa stiano pensando.
Fino a quando riesco a far ragionare i miei alunni perché non si può fare tutto quel baccano. Così smettono di cantare e ballare, e io metto la voce di Sfera ebbasta sul pause. Si zittiscono temporaneamente la grancassa che gratta sul subwoofer, le linee elementari dei synth virtuali in loop, il groove tutto sommato coinvolgente se ti piacciono le atmosfere downbeat. Tacciono un’infilata di valori opposti a quelli che dovremmo trasmettere. Si blocca un meteorite di una portata così enorme da distruggere tutta la nostra società almeno tre o quattro volte di fila. Ma il pause non è altro che un leggero sfebbramento quando sai già di essere spacciato. Appena fuori da scuola chiederanno ai loro genitori di mettere eppibberdei, anzi la selezioneranno di loro iniziativa sul sistema surround a cui è collegata la loro smart tv da mille pollici, con l’app di Spotify ben in vista, e i genitori troveranno pittoresca la deriva valoriale a cui sono condannati i loro figli mascherata da entusiasmo per un fenomeno culturale tutto loro grazie al quale sono convinti, davvero, che ogni giorno sia il loro il compleanno. Quindi, ancora una volta, eppibberdei.