In previsione della Giornata della Memoria, introdotta dalla collega di italiano, ho presentato alla mia classe il “Quartetto per la fine del tempo” di Olivier Messiaen, corredato dalla lettura della storia romanzata da Richard Powers (che se vi interessa trovate qui) e facendone ascoltare alcuni passaggi tratti da questa esecuzione live
per rimarcare il contrasto che può aver suscitato una composizione di musica da camera del novecento in un campo di concentramento nazista e tutti gli aspetti relativi alla forza che ha la musica come espressione degli stati d’animo più controversi, per non parlare della metafora dell’apocalisse con la prigionia e l’assenza di speranza.
Si tratta di musica piuttosto complessa per una quinta elementare, lo so, e infatti i ragazzi sono rimasti sbigottiti. Hanno cercato così di proteggere la loro vulnerabilità emotiva causata dall’uscita dalla confort zone delle sonorità a cui sono abituati cogliendo l’involontario umorismo insito nella mimica facciale dei musicisti. D’altronde, chi suona, fa le facce indipendentemente dal genere. Magari i dj che supportano i trapper dal vivo un po’ meno, ma probabilmente perché salgono sul palco belli cotti. Chissà se rimarrà loro qualcosa.