Pensate al salto evolutivo dei millennials: un bambino di oggi nel giro di qualche anno vede più film a cartoni animati di quelli che abbiamo visto tutti noi nati negli anni sessanta messi insieme. Al cinema ne usciva uno ogni morte di papa, in tv non erano poi così frequenti e poi, verso gli undici anni, abbiamo iniziato ad atteggiarci da adulti con le sigarette e i flirt e i motorini truccati e chi vedeva cartoni o leggeva fumetti ci faceva la figura dello sfigato e quindi li guardava lo stesso ma di nascosto. Con il tempo, invece, grazie alle vhs prima, ai dvd dopo e alla rete oggi, la cineteca a disposizione per l’infanzia è illimitata e così i bambini arrivano a scuola che già hanno visto tutto a partire dall’opera omnia disneyana. Poi ci sono quelli che vanno a cercare – e trovano – le raffinatezze che fanno crescere i bambini più intelligenti, un po’ come Mozart per la musica classica. Io avevo proposto a mia figlia, con enorme successo, i film animati di Michel Ocelot, regista e animatore francese che sono persino andato a vedere dal vivo in un cineclub milanese alla presentazione di un nuovo lavoro perché i suoi disegni avevano fatto centro anche con me. Soprattutto avrei fatto volentieri centro con la strega Karabà, tipica bellezza africana che nelle storie del piccolo Kiriku non lesina la vista della parte superiore del suo corpo senza veli. D’altronde chi non ha mai idealizzato la bellezza di belle addormentate e principi azzurri nei cartoni animati scagli la prima graphic novel. Da bambino, per dire, mi ero follemente innamorato della mamma di Peter Pan. Chissà da chi avevano tratto ispirazione i disegnatori. Per me era un incanto.