Il lunedì è il giorno in cui resto a scuola fino a sera. Ho quattro ore la mattina e poi riprendo alle 15:30, un orario che non mi consente di rientrare a casa per il pranzo. Potrei anche, sono a meno di venti minuti di distanza in auto, ma mi piace fare le cose con calma. Così vado a mangiare da Jole, che è una via di mezzo tra un bar e una trattoria a meno di un isolato dalla scuola, ma più orientata alla trattoria perché come bar è troppo spoglio. È un posto da menu completo a dieci euro di ottima qualità ma dedicato a un target maschile della specifica categoria di chi svolge lavori di fatica ma di un livello superiore al manovale. Si vedono impiantisti, operai specializzati, elettricisti. Squadre con il giubbotto brandizzato dell’impresa per la quale prestano servizio sul campo e lavoratori di questo tipo. Ma, se partiamo dal basso, tra le numerose fogge di scarpe anti-infortunistiche sotto i tavoli si possono scorgere solo un paio di Camper Peu che sono le mie.
I camerieri di Jole, un super-palestrato ma dai modi accoglienti e una ragazza davvero efficiente, smistano gli avventori solitari come me nei tavoli già parzialmente occupati per non sprecare posti redditizi. Accanto a me oggi erano seduti due marcantoni con la tuta costellata di tasconi e un giubbotto imbottito ma senza manica. Hanno preso la pasta fresca con la ‘nduja e, in attesa dei loro piatti, hanno estratto dallo zaino di quello più raffinato dei due una bottiglia di un vino di un certo livello. Una bottiglia non da supermercato, per farvi capire. Sapevo di tavole calde che permettono di portarsi le bevande alcoliche da casa ma Jole non è certo il tipo di locale ad atmosfera musulmana. Tutt’altro. Avevano persino lo stappabottiglie e hanno chiesto alla cameriera, verso cui dimostravano una certa confidenza tanto che quello più raffinato le ha dato una vistosa pacca sul sedere commentando i suoi jeans da ragazzina, due bicchieri da degustazione.
Quello più raffinato ha messo al corrente il collega che la donna brasiliana che era seduta a un tavolo dello stesso bar trattoria un paio di giorni prima e con la quale si era scambiato qualche sguardo nel corso di un pasto suppongo con un piatto dello stesso valore culturale della pasta fresca con la ‘nduja, quella donna brasiliana – una bella donna, ha sottolineato – aveva riferito a Jole riferendosi a lui di aver scambiato qualche sguardo con un figo della madonna. In effetti il più raffinato dei due, il protagonista del suo racconto di Natale, era oggettivamente un bel ragazzo, a chi piacciono i tipi ben piazzati e dall’aria un po’ selvaggia, non so se avete presente il tipo. Sempre lui – il più raffinato dei due, l’altro era una vera bestia, di quelle enormi che stanno sempre ripiegate su se stesse – ha poi tentato di coinvolgermi in una discussione sulle porzioni dei piatti in generale, non quelle di Jole che comunque sono generose. In realtà ho sperato fino all’ultimo che mi offrissero un sorso di quella costosissima bottiglia portata da casa ma poi ho pensato che è stata una fortuna perché poi dover riprendere servizio in classe dopo un bicchiere di quel vino dall’elevata gradazione alcolica – sembrava una specie di amarone – sarebbe stata una disdetta.
L’aspetto che mi ha fatto riflettere è che da sempre uno dei temi di discussione preferiti in cui darci dentro con i luoghi comuni è quello che riguarda gli ambienti di lavoro maschili versus gli ambienti di lavoro femminili. Luoghi comuni in entrambi i sensi: conoscerete sicuramente donne che si lamentano dell’ambiente femminile perché teatro di invidie e rancori pronti a scatenarsi in vendetta e che tessono lodi dei pochi maschi presenti in ufficio con i quali riescono a costruire rapporti collaborativi, oppure donne uniche impiegate di sesso femminile in studi ad alto tasso di ingegneri uomini in cui riescono a sviluppare rapporti di profondo rispetto reciproco o ancora vi sarà capitato di sentire racconti di uomini in ambienti femminili pienamente appagati dalla mancanza di competitività. Ce n’è per tutti i gusti, le combinazioni sono infinite.
Tutto questo per dire che a scuola sono l’unico maschio adulto. Da qualche giorno c’è un bidello supplente più vecchio di me che però sta sempre sulle sue ma è un caso. Nel corpo docente c’è un solo maestro, cioè io. Ora io non voglio darmi delle arie, credetemi, però l’aspetto su cui cerco di impegnarmi di più è di mostrarmi gentile. Cerco di aiutare il più possibile le colleghe sulle cose che so fare, per esempio in ambito informatico e digitale, e poi di dare una mano quando mi chiedono le cose più varie come piantare chiodi, spostare armadi o oggetti pesanti, smontare parti di plafoniere in mensa che stanno per staccarsi, posizionare i proiettori delle LIM quando sono storti arrampicandomi sulla scala, sistemare i vasistas delle finestre che a volte si incastrano e, in generale, supporto di questo tipo. Tenete conto, però, che non sono uno di quegli uomini tutto fare. Ho comprato le spazzole dei tergicristalli ma non le ho ancora montate perché non so da dove iniziare. Anzi, fuori dall’informatica e dal digitale sono anche un po’ imbranato. Però, se posso, non mi tiro indietro.
Ora vengo al punto. Oggi è stato l’ultimo lunedì di programmazione prima delle vacanze. La programmazione è l’appuntamento settimanale in cui, con le colleghe dell’interclasse, decidiamo come strutturare le lezioni della settimana. È l’unico momento in cui il team è al completo, per questo oggi le colleghe si sono scambiate un pensierino per Natale. Ovviamente c’erano anche pensierini per il sottoscritto. Ho capito subito di aver commesso un errore dimenticandomi completamente che a Natale, in certi ambienti di lavoro, è normale scambiarsi i regali con le persone con cui si ha un rapporto più stretto. L’ho capito subito e mi sono sentito un po’ idiota a non averci pensato. Come ho potuto non immaginare che sarebbe andata così? Ho cercato di spiegare il mio imbarazzo raccontando di provenire da un ambiente professionale in cui questo genere di cose non si fanno. O, almeno, io non le ho mai fatte e nessuno – a parte i tradizionali regali aziendali – le ha mai fatte a me. Forse nessuno le ha mai fatte a me perché avrei dovuto iniziare io, chi lo sa. Le colleghe, naturalmente, non hanno dato nessun peso alla mia vergognosa dimenticanza. Hanno compreso che non si trattava di una mancanza di attenzione nei loro confronti e hanno anche scherzato sulla cosa. Sono un uomo, hanno detto prendendomi bonariamente in giro, un uomo in mezzo a tante donne, è naturale.
In verità ci sono rimasto male, perché vorrei in tutti i modi far capire alle mie colleghe quanto mi ritenga fortunato a lavorare con donne come loro e, davvero, sono ancora sorpreso della leggerezza con cui ho completamente rimosso il fatto che a Natale, in un ambiente di lavoro in cui la relazione interpersonale è al centro di ogni atto, di ogni gesto, di ogni respiro, di ogni parola, sia naturale scambiarsi un pensiero. Una candela, una busta di tisana, una marmellata fatta in casa, dei dolci del paese del sud da cui la fame di lavoro ha strappato alcune di loro. Potrei rimediare nei pochi giorni che ci separano dall’inizio delle vacanze, ma non sarebbe lo stesso. Non so, ora cercherò la migliore soluzione per porre un rimedio attendibile.
Non so perché ho collegato le due cose, gli operai specializzati a pranzo da Jole e lo scambio mancato per colpa mia di doni con le colleghe dell’interclasse. So perché ho scritto invece quelle cose su come mi comporto a scuola. Avrete capito che si tratta di una specie di captatio benevolentiae per farvi pensare che no, non devo preoccuparmi, se sono una persona cortese sempre anche se non sono arrivato a pensare ai regali nessuno può biasimarmi. Vi assicuro che non voglio sembrare più o meno bravo o più o meno cortese di nessuno. Però, durante la riunione dell’interclasse, oggi la maestra con cui condivido la mia quinta ha detto di fronte a tutto il team una cosa molto bella su di me. E niente, questo racconto non ha ancora un finale perché oggi, per la prima volta, ho capito che devo a tutti costi rivedere i parametri del mio concetto di gentilezza.