un uomo entra in un caffè

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I tempi comici oggi sono dettati dai social network, di conseguenza raccontare una barzelletta più lunga di un meme risulta quasi più anacronistico che nascondere i Playboy nel cassetto dei calzini. So che di questi tempi c’è ben poco da ridere, ma anche a voler suscitare l’ilarità negli adulti sono necessarie intuizioni sovrannaturali di cui non tutti sono capaci (non offendetevi se dico anzi quasi nessuno). Comunque, l’ironia di twitter e le micro-battute hanno fatto piazza pulita dei libri di Gino Bramieri, per farmi capire. La gag dev’essere rapidissima. Due secondi o un gesto o uno sguardo. Il resto è tutto sorpassato: le storielle, le imitazioni, le canzonature, certa satira troppo intelligente.

Generazioni di zii avvinazzati seduti alle tavolate dei matrimoni che si sfidano a barzellette sconce con tutti quei luoghi comuni che oggi sono giustamente passibili di denuncia hanno lasciato il posto a cinquantenni praticanti della depilazione definitiva e con una devozione maniacale alla corretta successione degli allenamenti propedeutici alla maratona che induce solo alla depressione altrui.

E pensare che le barzellette bisognava saperle raccontare, costruire il crescendo della trama che porta all’esplosione finale, concentrare nell’ultima parola il fattore scatenante, il paradosso, la bomba in grado di scoppiare nelle bocche degli stolti tracimanti di riso. E gli argomenti? Prelati più o meno alti, militari, poveri, ricchi, traditi e fedifraghi, omosessuali – tanti omosessuali – e persino certi topos rimasti immutati nella cultura popolare probabilmente almeno dai tempi delle leggi razziali come tipo di bersaglio che solo a pensarli oggi fanno rabbrividire tanto erano parte della nostra civiltà ancora primitiva.

Sopravvive, malgrado tutto, qualche residuo di quelle generazioni ridotte all’osso per ovvi motivi anagrafici che ci prova a rendersi simpatico così. A sentirlo, con quell’espressione metallica a cui lo smartphone ci ha indotto solleviamo lo sguardo dal display e dall’ennesima reductio che le leggi della velocità relazionale hanno reso consuetudine e ci precipitiamo a cercare chi si sia macchiato di una tale assenza di politically correctness. E anche noi che siamo cresciuti persino con varietà televisivi incentrati sulle barzellette rimaniamo allibiti quando troviamo qualcuno che insiste per lasciargliela raccontare. In questi casi, per fortuna piuttosto rari, penso a un programma tv che ogni tanto incrocio all’ora di cena. Si chiama “LOL” e, come ci insegna l’acronimo del titolo, dovrebbe provocarci risate a crepapelle mostrando una sequenza di gag comiche. Sarà che sono un uomo fondamentalmente triste, ma ho provato a seguirne qualche parte ma non mi fa proprio ridere per un cazzo. E comunque, un uomo entra in un caffé. Splash.

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