Se pensate che dotarsi dell’asciugatrice sia uno dei punti di abbruttimento di non ritorno della civiltà dell’occidente industrializzato non avete tutti i torti. Perché spendere soldi e, soprattutto, consumare energie non rinnovabili per fare più in fretta qualcosa che la natura fa egregiamente, e cioè asciugare i panni e il bucato tutti profumati di uno di quegli ammorbidenti ai limiti della nausea tanto sono stucchevoli che usano adesso? Bene, io non so dove abitiate né come sia fatta casa vostra. Qui a Milano c’è un’intera stagione in cui se metti fuori una maglietta lavata la tiri dentro come prima con, in più, la maggiorazione della puzza a scelta tra polveri sottili, industria chimica, coda in tangenziale e all-you-can-eat cinogiappo sotto casa. In più, vivere con lo stendino perennemente sommerso dell’abbigliamento tecnico da corsa e biancheria varia e trovarselo al risveglio ogni mattina – se come me vivete in un trilocale – alla lunga rompe i maroni. Così, superati i cinquanta, ecco puntuale come una bolletta della luce la caduta nella trappola tentacolare delle comodità domestiche, su tutte l’asciugatrice, una di quelle cose di cui un po’ ti vergogni di dire che l’hai comprata soprattutto agli amici di sinistra, quelli con l’anima ecologista che se ti vedono buttare l’acqua della pasta senza averla utilizzata per lavare i piatti oppure versare l’olio dei fritti nel lavandino ti tolgono il saluto. Mia moglie ed io ci siamo arresi un po’ per tutto quello che avete letto qui sopra. La promessa che abbiamo fatto agli amici più intransigenti è stata quella di un utilizzo oculato e rigorosamente nei mesi freddi e umidi. Quindi, prima che la primavera ci porti via il piacere di lavare e riporre asciutti gli indumenti nel giro di qualche ora, lasciatemi dire che è una figata assoluta, subito dopo essere un insulto ai paesi meno sviluppati e alla povertà diffusa nel mondo. Qui però fa molto meno caldo.