Mia mamma sostiene che non sia cambiato nulla. Ogni cosa di sé le risulta inalterata nonostante abbia compiuto ottantun anni lo scorso aprile. Quello che le passa in mente e il modo in cui le passa in mente, compreso quel linguaggio con cui diciamo le cose a noi stessi perché tanto non ci sente nessuno almeno fino a quando non parliamo da soli, ma questa è un’altra questione. Probabilmente in lei vive ancora quell’adolescente che soggiorna in tutti noi, quello che a me – per farvi un esempio – fa canticchiare mentalmente oggi, a quarant’anni di distanza dalla prima volta in cui lo sentii da amici più sgamati in tema di parolacce, il tema di ottoni de “La cavalcata delle Valchirie” di Wagner con le parole “attaccati al cazzo” ripetute in metrica perfetta lungo tutta la celebre melodia. Così ogni tanto mi piace immaginarmi a fare certe cose quotidiane e banali che mi occupano oggi quando sarò vecchio. Nel senso di più vecchio di adesso, naturalmente. Cercare le chiavi del cancello, del portone e di casa per rientrare. Fare le facce allo specchio sorprendendomi però per la pelle del collo cadente e altri segni dell’età, canizie compresa. Scegliere accuratamente il disco più adatto al momento. Giocare a Tetris online. Osservare la bellezza del mondo, bellezza femminile compresa, senza pensare a doverne fare a meno prima o poi, ma tanto chi se ne importa. Quando sei morto sei morto, voglio dire. Non è che ti senti privato di qualcosa quando non esisti più. Prima non eri, corretto? Allora non sarai nemmeno dopo. Ci sarà buio come quando lo spettacolo non era ancora incominciato. Ecco, certi pensieri funerei forse saranno più incombenti, chissà. Forse per questo ci sforziamo per mantenerci belli giovani inside, come dicono i ragazzi di oggi. Cantare mentalmente “attaccati al cazzo” sopra al “La cavalcata delle Valchirie” resta tutt’ora un’esperienza edificante, alla faccia di Wagner.