Non mi sono sbagliato. La chiesa nella piazza del paese tagliato in due dalla Varesina ha appena suonato il tema di “Einstein a go go” dei Landscape con le campane. L’effetto non ha niente da invidiare al carillon del Tiergarten di Berlino, quando ti ritrovi a inseguire in mezzo a uno dei parchi più belli di tutta Europa la sorgente di un suggestivo concerto, per poi scoprirla in un sistema che fa muovere in modo automatico più di sessanta batacchi collegati ad altrettante campane. Certo: a Berlino il suono si spande nei boschi, qui lo percepisci mentre sei in coda al semaforo e, per di più, il panorama lascia a desiderare. Tutto questo ci insegna a fare molta attenzione: se dici di vivere a Milano-Milano, ripetendo due volte unite da un trattino il nome della città, devi poi dimostrare ai tuoi lettori di avere la residenza oltre l’anello della ferrovia. Se dici invece di abitare a Milano, una volta sola, vale anche la periferia e i borghi dormitorio che si illuminano di luci di posizione nelle sere d’autunno tutti intorno. Poi il semaforo diventa verde e, fino al successivo, alle cose brutte non ci si pensa più. La domenica pomeriggio è un gigantesco, corale e talvolta metaforico ritorno a casa. Ma c’è un momento in cui non fa ancora buio e dall’abusivismo edilizio e dalla sequenza di stabilimenti desueti e incompiuti si propaga una vasta porzione di campagna non ancora violata, se non dai cartelloni pubblicitari sul ciglio della strada che reclamizzano un dentista che ricorda Claudio Bisio e qualche camioncino che finanzia la camorra vendendo frutta e caldarroste. Dietro, ecco un’antica villa con un parco tutto intorno. Dura poco, nel panorama, e l’opportunità per rallentare e fare una foto a quell’anomalia in quel tripudio di antropizzazione sfuma nel giro di qualche centinaio di metri. Di lì a poco viene buio. A Milano-Milano le cose invece vanno un po’ meglio. Puoi scendere a fare due passi, se vivi in centro. In certi quartieri invece è meglio restare a vedere la partita alla tv. Il riposo è solo un’illusione, un apostrofo a forma di chaise longue tarocca tra due parole che nessuno si ricorda più.