Stavo ultimando un gioco con una cartina muta dell’Europa e l’interruzione di Andrea è stata provvidenziale perché, per quelli come me rimasti al Patto di Varsavia, distinguere il Montenegro o certe ex repubbliche sovietiche senza nemmeno un riferimento politico risulta oltremodo complesso. L’ora di Geografia in quarta A era una supplenza in cui avrei preferito volentieri giocarmi qualche carta di simpatia e coinvolgimento con una delle mie lezioni di musica ma la collega che sostituivo aveva lasciato istruzioni ben precise. Andrea ha alzato la mano e mi ha fatto notare quanto il cielo color petrolio fuori dalla scuola fosse anomalo per le quattro del pomeriggio di un giorno di fine ottobre, anche se – ed è stata la prima risposta che mi è venuta in mente – avrebbero dovuto essere le cinque per la storia delle lancette un’ora indietro.
Giusto il tempo di realizzare che quella non poteva essere la causa plausibile di quella specie di video di “Black Hole Sun” dei Soundgarden che stava prendendo corpo all’orizzonte che l’inferno si è scatenato sotto forma di fulmini da record. Una serie di scariche di energia si sono sprigionate da non so quale strato del cielo verso un punto apparentemente vicino alla mia scuola. Saette degne di un qualunque programma di divulgazione scientifica si sono manifestate per un tempo preoccupantemente superiore alla media lungo la stessa direttrice, tra il cielo e la terra, a due passi da dove mi trovavo. Poi l’apocalisse: grandine e pioggia violentissima contro gli infissi appena sostituiti dalla zelante amministrazione comunale, che per fortuna hanno tenuto producendo solo un rumore assordante.
I bambini si sono precipitati a godersi lo spettacolo della natura dietro i doppi vetri. Io invece ho istintivamente arretrato la posizione di qualche passo, sapete meglio di me che con l’età si diventa più codardi a meno che non vi chiamiate Walter Kowalski e non interpretiate il ruolo da protagonista in un bellissimo film di Clint Eastwood. L’apparente pericolo poi si è esaurito con la stessa velocità con cui si è palesato lasciando ovunque un fortissimo odore di bruciato. L’aria fuori ne era zeppa e ha impregnato anche i nostri respiri dentro, come fosse la prova del male che, in qualche modo e per qualche inspiegabile vendetta soprannaturale, aveva appena dominato tutto il resto.
Quando sono uscito, qualche ora più tardi, l’odore si sentiva ancora malgrado il vento e i postumi della pioggia. Ho avviato la macchina per tornare a casa e la musica che si è diffusa in automatico è stata incredibilmente perfetta per quello che stava succedendo anche se, a ripensarci dopo, è difficile trasmettere lo stesso effetto.