C’era una camera mortuaria allestita al quinto piano. La figlia del defunto, poco più ventenne, aveva aperto la porta di casa pensando che il rumore dell’ascensore in arrivo conducesse altri congiunti a rendere visita al padre prima del funerale. Fuori era già buio e, di fronte, non erano ancora iniziati i lavori per la costruzione del nuovo complesso residenziale, quello di cui oggi si lamentano tutti per la qualità dei materiali utilizzati e che, lungo la recinzione, pullula di annunci di vendita appartamenti di varie metrature. C’era il rudere di una vecchia cascina e i campi intorno. Ubicato alla fine di una sterrata – ora ciclabile – che ci collega con il comune limitrofo, è lecito pensare che uno dei più importanti autori della letteratura italiana, proprietario di una residenza estiva per cui il paese a fianco è noto e come tributo organizza ogni anno un festival a ottobre che porta il nome dello scrittore in questione, si sia spinto sino qui in una camminata ispiratrice proprio per quel romanzo che si studia in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Chi va a correre lungo quel sentiero si scopre ispirato a sua volta e si volta per un addio alle valli anche se qui è solo pianura. Oggi poi si sente fortissimo il profumo dell’ammorbidente perché è sabato, ci sono le adolescenti isteriche che litigano con le madri ed è possibile scorgere un paio di cavallette immobili sui muri esterni del palazzo da cui sto trasmettendo. I gatti vomitano agitati dai cambiamenti dei giorni prefestivi. Qualcuno scendendo le scale sputa, altri si accendono la sigaretta negli spazi comuni e c’è chi trova inopportuno chi lascia la spazzatura sullo zerbino anche solo per qualche minuto, giusto il tempo di mettersi scarpe e giacca e portare giù il sacchetto. Per dispetto il vicino gliela sposta in mezzo al pianerottolo ma alla fine i più permalosi, per una cosa così, se la prendono comunque tropo. Non tutti riconoscono invece la musica che sta ascoltando l’inquilino del secondo piano. Si tratta del finale tratto dalla Sinfonia n. 4 in fa minore, op. 36 di Pëtr Il’ič Čajkovskij che ha un incipit così famoso che è facile trovarlo inciso su uno dei dischi più venduti al mondo, registrato dall’autoradio del chitarrista della band in questione per ottenere un suono sufficientemente metallico e, in questa versione, divenuto così iconico che è oggi difficile non ricondurlo a un capolavoro della musica contemporanea.