Ho condiviso il palco con i Tiromancino nel novantasei o giù di lì. Noi eravamo il gruppo di supporto, savasandir, ma l’incommensurabile spazio concerti del Leoncavallo di Via Watteau era rimasto pressoché deserto per entrambi. Noi eravamo emeriti sconosciuti ma anche loro, ai tempi, non è che fossero proprio i Beatles. A discolpa di tutti c’è da dire che vivevamo un periodo di grande fermento, c’erano concerti ovunque, il pubblico si parcellizzava molto democraticamente tanto che se non era raro trovarsi a scegliere nella stessa sera tra cose del livello di Peter Gabriel e David Bowie (è successo a Milano nel 1987) figuriamoci tra band del nostro infimo livello schierate simultaneamente dai numerosi locali della metropoli. Le altre cose che ricordo sono il fascino della bassista e l’antipatia del cantante che, ancora distante dai due destini uniti nella descrizione di un attimo, con il suo accento da borgataro romanesco apostrofava il tecnico di palco, sfoggiando lunghi boccoli neri e un modello di occhiali anni 70 molto in voga ai tempi. Ho pensato a Zampaglione perché ho scoperto che è da poco uscito un disco con i maggiori successi del gruppo che lo ha sopportato fin troppo tempo rivisitati in chiave – diciamo – moderna. L’album si chiama “Fino a qui” ed è un perfetto compitino per chi vuol tornare sulla cresta dell’onda chiamando i nomi del momento a dargli man forte. I fenomeni indie, il guru del buonismo fine a se stesso, il rapper in quota zarri, il cantante pop tornato di moda nel giro di due estati (come a dire “se ce l’ho fatta io ce la puoi fare anche tu”) fino a un pessimo remake della mia loro canzone preferita interpretata con una delle cantanti italiani che detesto di più di tutti i tempi che è Alessandra Amoroso. Perché se Zampaglione non mi sta per niente simpatico (in parte perché, nel bene e nel male, mi ricorda Battisti, un altro mostro di cordialità) devo ammettere che quei due o tre dischi centrali della carriera dei Tiromancino, usciti tra il duemila e il duemila e quattro, mi sono piaciuti parecchio. Per questo sono rimasto doppiamente deluso. Che bisogno c’era di rovinarli così?