Osservando i bambini, e di questi tempi me ne capitano parecchi a tiro, penso quanto sia faticoso crescere, almeno visto da qui. Non credo ci sia sforzo più impegnativo in natura del formarsi a tutti gli effetti, dello sbocciare donne e uomini da quel brodo primordiale in cui alla base non c’è ne carne ne pesce. Il corpo che si ingrandisce a dismisura, i denti che crescono e poi cadono per poi ricrescere, tutto il sistema che ci permette di riprodurci e tutto quello che, formandosi, comporta a livello emotivo. Le delusioni che durano un istante e quelle che poi si ripropongono nella vita. Gli odori che esplodono all’improvviso e il modo in cui da bambini non ce ne accorgiamo nemmeno se non fosse per i grandi che fanno gli schifiltosi. Tutti gli stimoli che si conficcano indelebilmente in quel magma che è la nostra memoria per rimanere per sempre come fossili in una roccia vecchia come la terra che l’ha accolta. I continui cambiamenti nelle relazioni e i punti di riferimento che vanno e tornano senza che si lasci il tempo di capire, conoscere, chiedere, sperare che non scompaiano, aspettare che non si materializzino più. Tutto questo in così poco tempo, una sciocchezza se pensiamo agli ottanta e passa anni nell’insieme, almeno trenta dei quali da trascorrere con l’intento di far ordine proprio in ciò che da bambini abbiamo messo da parte. Guardare loro e cercare di far loro capire che non c’è tempo da perdere, che da bambini ci si resta per poco anche se, con così poco tempo alle spalle, il presente sembra davvero non finire mai.