I capolavori della musica del novecento non li tiriamo fuori spesso per ascoltarli, preferendo qualche novità, qualche gruppo più di tendenza o comunque più attuale, una playlist meno impegnativa che ci accompagni mentre facciamo altro. Sono dischi che abbiamo messo tante volte, sui social li citano ogni due per tre, in certe monografie che passano nei programmi TV ci sono esperti che li sezionano nei minimi dettagli tanto da farli sembrare reperti archeologici da conservare nelle teche asettiche per preservarli dal deterioramento. Un po’ come per la Cappella Sistina, in cui l’accesso è consentito a numero limitato per volta. Avevo visto un programma dedicato a “Heroes” di Bowie in cui il brano veniva analizzato traccia per traccia. Una procedura un po’ nerd che, per quello che ho scritto prima, è affascinante come quando ci fanno vedere con qualche diavoleria elettronica i disegni a matita sotto i grandi dipinti della storia dell’arte. L’esempio di “Heroes” è calzante anche sotto un altro punto di vista: sembra che il nastro che contiene la registrazione sia comunque destinato a rovinarsi ed è per questo che è stato tutto passato su un supporto digitale e l’originale sia conservato come una reliquia. Il modo più efficace per svecchiare le canzoni da museo è sentirli come se li passassero alla radio, come una nuova uscita qualunque, come un’anteprima a Discoring, se ci fosse ancora Discoring. In questo modo possiamo considerare certi 33 giri alla stregua di quando li abbiamo comprati venti, trenta, quaranta anni fa. “The Queen is Dead” è uno di questi, e ogni volta che lo ascolto la sua bellezza mi sorprende in un’esperienza per nulla guastata dalla sua diffusissima celebrità.