Pare che i più raffinati torturatori infieriscano sui piedi delle vittime per via delle interconnessi nervose tra i diversi punti delle nostre estremità inferiori con altrettante parti del corpo. A voi non capita mai di verificare autonomamente queste corrispondenze, come se i piedi beneficiassero di una sensibilità parallela, una sorta di alter ego in grado di esprimersi solo a segnali, la controparte di un sistema bicefalo (che cosa difficile da immaginare, perdonatemi) che non sempre si trova d’accordo con la componente intellettiva del nostro corpo? E se l’anima risiedesse nei piedi? Pensate, a lungo andare, come saremmo in grado di conciarla. Costretta in contenitori spesso deformi a loro volta incapsulati in involucri imposti dalle convenzioni sociali più che dalle condizioni climatiche è facile comprendere la velocità con cui l’anima sarebbe in grado di logorarsi.
Pensate dopo anni di passi, gradini, corse, storte, intemperie, crampi, salti e calci volontari e non come ci riduce. Per non parlare dei casi di anime piatte, anime con l’alluce valgo, anime puzzolenti. E ancora l’equivalente delle unghie incarnite, dei calli, delle piante arrossate quando si calzano senza soluzione di continuità le sneakers, quelle che un tempo chiamavano scarpe da tennis. E ancora l’anima fighetta nei mocassini, quella antagonista negli anfibi da centocinquanta euro, quella dimessa e zarra nelle infradito, quella noncurante dei giudizi altrui nelle Birkenstock, con la versione tedesca nei calzini, quella così refrattaria a consentire a qualcuno di innamorarsi di noi nelle ballerine.
Per questo il sollievo dell’anima è un catino con l’acqua tiepida e i sali e stare lì fermi a godersi il ristoro per noi uomini che, dopo secoli trascorsi a scrutare il cielo nella speranza di scorgere qualche anima di passaggio, mai avremmo pensato che in realtà stavamo sbagliando tutto e che bastava volgere lo sguardo molto più in basso, vicino alla terra pronta a inghiottirci, per capire tutto.