abnegazione

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Se vi piace fare le cose per gli altri ma non per essere ringraziati bensì per il gusto di farle e perché vi appaga la felicità del prossimo il mio consiglio è quello di darci dentro e fare una marea di marmocchi. Moltiplicatevi e sono certo che vi passerà la voglia, tante saranno le occasioni in cui potrete sfogare questa sorta di servilismo spontaneo condito con una punta di masochismo. Io ne ho una sola, di figlia, ma la varietà di modi in cui mi sono profuso in atti volti al suo benessere negli ultimi quattordici anni – funzione alla quale peraltro in parte sono obbligato per legge – sfamerebbe in appagamento un esercito intero di mocciosi. E credetemi, vi giuro che non lo dichiaro qui per assicurarmi il vostro plauso. Ah che padre esemplare. No, non mi interessa. E poi so benissimo che anche voi fate lo stesso. Siamo una moltitudine di genitori che hanno riscoperto la ricchezza della prole proprio come quei nostri antenati che più avevano dalla loro parte braccia per lavorare la terra e mungere le vacche meglio si poteva tirare avanti. La differenza è che oggi noi abbiamo tutto sotto tutti i punti di vista, non ci manca nulla e siamo talmente stufi di dedicarci inutilmente a noi stessi, giacché da noi stessi non si tira più fuori nulla di interessante, che riversiamo gli avanzi su di loro. Gli psicologi ci dicono di farci una vita nostra ma chi se ne importa. Ritengo questa sottomissione ai voleri filiali, un registro in cui i più vedono non solo l’anticamera del vizio – nel senso di tirare su bimbi viziati – ma anche la sala da pranzo, il tinello, la living room e il resto di una villa degna di Paperon de Paperoni, una vera mission, una filosofia di vita, una sorta di fanatismo che probabilmente è malato ma dal quale non ho intenzione alcuna di guarire. Oggi, per dire, credo di aver battuto ogni record.