I miei nonni, gente semplice che veniva dalla campagna, pranzavano rigorosamente alle dodici e cenavano alle sei del pomeriggio e qualcosa è rimasto di quella scansione del tempo nelle mie abitudini, un retaggio delle richieste che generazioni di corpi umani usi agli orari del lavoro nei campi e nelle stalle hanno cesellato nel DNA della mia famiglia di origine. So che è impossibile, ma sono un romanticone e mi piace pensarla così. Nel frattempo è subentrata a gamba tesa la modernità del lavoro salariato del terziario, nel mio caso avanzato, e in genere il modello occidentale della nostra società, che impone pasti mai prima dell’una e trenta e cene dopo le otto di sera, usanze peraltro non così sane per il nostro organismo. Si legge ovunque che coricarsi con il cibo sullo stomaco non è salutare, e tirare tardi per attendere la digestione – parlo per me – è altresì impossibile.
Mio padre, che avrebbe voluto tener fede alle sue radici ma ha dovuto scendere a compromessi con i suoi orari da impiegato, sono sicuro che resterebbe piacevolmente sorpreso del fatto che all’estero il consumo dei pasti non è così irregimentato nelle rigide griglie osservate da noi italiani. Nella sua vita ha viaggiato molto poco, direi quasi niente. Così quando mi trovo in località straniere turistiche e osservo ristoranti e bar pieni di gente che mangia a tutte le ore e non necessariamente le pietanze che noi leghiamo alle varie fasce della giornata, penso che sarebbe contento di potersi sentire libero di sedersi a un tavolo come probabilmente ha fatto per tanti anni da bambino, a mezzodì per pranzo e alle diciotto per la cena, senza sentirsi dire dai camerieri che è troppo presto. Tutta questa anarchia gastronomica, se devo essere sincero, mi fa agitare. Se non mi controllo arrivo addirittura a pensare che sia blasfema. D’altronde dalle nostre parti il cibo non è solo una utility, è un vero e proprio culto. Mi sono chiesto, quindi, perché nella nostra cultura al mangiare si dia così tanta importanza mentre altrove lo stare a tavola sia visto con maggiore leggerezza. Forse, in fondo in fondo, siamo ancora la povera gente di campagna di una volta.