Di questa stagione non sorprende scoprirsi con un cuore grande così. Un cuore che è rimasto in letargo, nascosto sotto le coltri per un freddo che non ci ricordiamo nemmeno quando abbia avuto inizio. Una specie di grancassa che ci sentiamo risuonare – con una leggera latenza – nelle spalle, all’altezza degli avambracci e su fino nelle orecchie. Poi giù sulle cosce fin poco sopra i polpacci. Nello stomaco che al cuore gli sta proprio a ridosso e che con le sue cavità potenzia l’eco di tutto quel frastuono. Un cuore che si ingrossa così tanto che ci dobbiamo mettere a guardare fuori. La luce che continua il giorno anche quando il giorno, fino a qualche settimana prima, era già finito da un pezzo. Il profumo dell’ammorbidente sul bucato, quello degli alberi, persino l’odore di qualche carburante e qualcuno che ha messo della verdura sulla griglia. I rumori e gli uccelli che con la finestra spalancata sembrano rincorrersi dentro casa, tra le stanze che restano in penombra perché la lampada, con il chiaro che c’è fuori, non occorre. Ed ecco che ci scopriamo con un cuore grande così, un baule che non ci sta più, così gonfio, dentro il petto. Uno scrigno di cianfrusaglie a cui non sappiamo dare un nome, che non sappiamo nemmeno come ci sono finite lì dentro, lungo una vita che inizia a farsi di una certa consistenza, tutte quelle emozioni.