“Ho trovato tracce di te su Amazon”, mi scrive un affezionato lettore. “Googlando il tuo nome e il tuo cognome risulti in qualità di autore di alcuni brani musicali in vendita”. Non è difficile lasciare un segno nell’Internet, gli ho risposto. Metti online qualcosa e sei condannato alla visibilità in eterno. Quei brani musicali, per dire, sono stati pubblicati lì senza che io ne sapessi nulla da uno zelante duo di operatori del settore. Avevo inviato loro una manciata di basi elettroniche piuttosto asettiche, quelle che si sentono come sottofondo nei documentari con una mera funzione riempitiva. Un vocione descrive la libellula, l’immagine si ferma qualche secondo su un dettaglio ripugnante, il vocione si interrompe, quell’accompagnamento musicale che prima non avevate nemmeno notato sale lievemente di volume ed ecco che potete riconoscere la mia arte che vi saluta in quegli interstizi tra una descrizione e quella successiva, per poi rientrare nel meritato oblio che si merita, funzionale soltanto a fare un po’ di brusio per non far sentire troppo sole le immagini con il loro commento. In realtà avevo sottoposto al giudizio di terzi quei brani con l’unico scopo di chiedere se avessero dignità, appunto, di essere inseriti in qualche raccolta destinata all’industria di quelli che una volta si chiamavano “audiovisivi”. Che tenerezza. I due volponi non solo non mi hanno mai fatto sapere nulla ma, senza chiedere autorizzazione alcuna, li hanno messi a disposizione del web. Però dai, ammettete che sono stati carini a farlo a mio nome. Poteva andare peggio. Avrebbero potuto farlo a loro nome e chi si è visto si è visto. Di certo, io non ho visto nemmeno il becco di un quattrino. D’altronde, sull’Internet è tutto gratis.