Non si ha tutti i torti a ribadire che la politica è ovunque. Gli italiani stanno sempre più a destra ma nel momento in cui a destra dovrebbero starci sul serio, e mi riferisco alle tre corsie dell’autostrada, si piazzano in centro come un Casini qualunque. La corsia di destra si dovrebbe percorrere nei momenti di marcia normale, quando è libera, anche procedendo a velocità sostenuta. Gli automobilisti italiani che invece occupano quella di mezzo anche quando quella di destra è vuota lo fanno perché guidare da quella parte equivale ad ammettere che si è dei perdenti, che si opta per la sconfitta, che si accetta il fatto di essere gli ultimi, individui remissivi disposti a lasciarsi superare in tutto e per tutto.
A me piace piazzarmi ai centodieci da quella parte e se poi trovo qualche prepotente che non si schioda dalla corsia di mezzo malgrado proceda più lentamente, lo supero sulla destra. Anzi, non è un’affermazione corretta perché in realtà non supero nessuno. Io vado dritto per la mia direzione, il problema è tutto di quello che occupa il centro della carreggiata con la sua presunzione, oltreché con la sua vettura. È altrettanto appagante starsene sulla corsia di destra durante le code perché studi scientifici hanno dimostrato che la corsia di destra procede sempre più velocemente delle altre, e sfrecciare dal lato sbagliato delle macchine che hanno intasato lo spazio rimanente pensando di fare prima, e che risultano bloccate, non ha prezzo.
Questa è una situazione tipica da rientro della domenica sera dal lago, soprattutto ora che inizia a far bello. Ho trascorso una buona mezz’ora in coda proprio poche ore fa, rientrando da un paesino nei pressi del Lago di Lecco che ha ospitato un raduno degli alpini. Il problema è che siamo nel 2018 e ancora si tengono i raduni degli alpini, oltre al fatto che è il 2018 e ancora esistono degli alpini. Abbiamo pranzato presso lo stesso ristorante, io non mi trovavo allo stesso tavolo con loro, per fortuna. Poi un alpino (che poi erano tutti ex alpini eh, non c’era nemmeno un militare in divisa ma solo anziani fuori forma con il tipico cappello) ha sollevato il bicchiere pieno di dolcetto e ha intonato le note iniziali di una canzone, subito seguito da tutti. L’aspetto curioso è che la canzone, una canzone tipica degli alpini tutta intrisa dei valori degli alpini che, principalmente, riguardano gli alcolici da pasto, ricalcava perfettamente la melodia di “Bandiera rossa”. Il problema dell’orientamento politico degli alpini, come potete immaginare, non è ancora del tutto risolto. Gli alpini sono dalla parte dell’Italia, l’Italia è antifascista, ma gli ex militari – soprattutto quelli di certe zone della Lombardia come quelle a ridosso del Lago di Lecco – non hanno ben chiari gli schieramenti e, al terzo bicchiere del dolcetto di cui sopra, puoi star tranquillo che sono pronti a intonare quelle canzonacce del ventennio che meriterebbero punizioni corporali severissime.
Il problema è che tu pensi alla Lombardia ma la Lombardia non è solo Milano. Ci sono province con un livello di deprivazione umana gravissimo (pensate a certi paesi del bresciano, della bergamasca, ma anche del cremonese per non dire del varesotto) con gente che si mette il cappello da alpino e trinca dolcetto parlando in dialetti che fanno accapponare la pelle. Mi sarei alzato in piedi a fare un mash up tra la canzone del vino (chiamiamola così) degli alpini e “Bandiera Rossa” se non ci fosse stata mia figlia testimone, non voglio passare per uno patetico. E pensare che mia mamma e mio papà, una volta sposati (vi parlo del 1960) sono venuti in viaggio di nozze sul Lago di Como, che è quell’altro ramo rispetto al Lago di Lecco, sulla cui superstrada è bene stare a destra anche se, di destra, ne avete già visto tanta a pranzo.