Mi è bastato dare un’occhiata agli esercizi sui prodotti notevoli e sulle scomposizioni perché mi esplodesse un filone di reminiscenze in testa compresso in più di trent’anni di oblio. Una cicatrice su una ferita all’orgoglio risalente ai tempi del liceo che ha ripreso a sanguinare. Un potente getto di operazioni e logiche chiuse ermeticamente in un ripostiglio lungo un superfluo corso di studi umanistici, a cui è bastato un polinomio per far saltare il lucchetto di protezione.
Ho risolto brillantemente un paio di esercizi di matematica sul libro di prima liceo di mia figlia (a proposito: se pensate di fare il classico perché siete poco inclini alla matematica vi sbagliate di grosso, i programmi sono gli stessi dello scientifico e le richieste dei prof pure) e poi ho mostrato a mia moglie i risultati di questa inaspettata epifania. A caldo ci siamo chiesti a cosa serva nella vita conoscere prodotti notevoli e scomposizioni, riflettendo sui rispettivi lavori attuali e sull’impatto che ha su di essi la matematica, contemplando anche una casistica estrema: sei bravissimo in matematica, passi l’adolescenza sui libri e poi trovi sul posto di lavoro un cretino davanti che non ti lascia spazio e i tuoi sacrifici vai a buttarli nel cesso, quindi tanto vale studiare quello che si preferisce.
Ma, a parte questo, la mia riflessione è poi tornata su questo prodigio che provo anche ogni volta in cui mi metto davanti a un pianoforte. E mi piace pensare che non sia una questione di memoria intesa come memoria mentale, piuttosto di memoria in carne e ossa, non so come spiegarmi. Ho studiato alcuni pezzi di musica classica per pianoforte per così tanto tempo in quella fascia di età, diciamo tra i dodici e i sedici anni, che ancora adesso – pur con una manualità più che ridotta dovuta dovuta all’inattività ormai pluridecennale – riesco a suonare abbastanza dignitosamente.
La stessa cosa dev’essere accaduta per la matematica della prima superiore. Pur non esercitandola più da secoli, regole e processi sono ancora lì pronti a fare il loro dovere, probabilmente grazie ai milioni di esercizi svolti in preparazione a compiti in classe e interrogazioni. La cosa assurda è che, invece, di ventitré esami dati all’università ho il buio totale.
E se c’è qualche lettore quattordicenne, magari proprio mia figlia, che è capitato su questo post e sta giungendo alla conclusione con me, non c’è miglior consiglio di studiare tanto, di praticare le materie con assiduità, anche se sono le famiglie e persino la scuola i primi a dirvi che l’importante sono le competenze. Intanto apprendete, imparate e fate tesoro delle nozioni finché fissare conoscenze riesce così naturale. So che è un’idea antiquata, ma d’altronde lo sono anch’io.