In quest’epoca di immense migrazioni, quelli che si sono spostati di duecento km pagando dodici euro di autostrada, qualcosina in più se ci metti la tangenziale est, fanno sorridere. Eppure quel poco di cui ci siamo mossi – perché nel novero degli apolidi di provincia ci sono anch’io – ci dà una fortuna senza confronti che è quella di guardare fieri verso ogni punto cardinale e non ritrovare nessun sentimento di appartenenza. Costoro – torno alla terza persona, così posso sembrare più obiettivo – dicevo, costoro hanno lasciato qualcosa di sé in ogni posto perché non traslocabile e, vi assicuro, potete prendere questa considerazione come una metafora o anche no. Da qualche parte laggiù il locatario che si è succeduto nella penultima casa in cui ho vissuto, penultima in ordine cronologico e seconda in termini di durata della permanenza, si sta godendo il mio divano vintage in sky verde, il mio tavolo con quattro sedie in teak scuro e persino il mio sintonizzatore Nordmende che non ci stava più nello stereo e l’ho lasciato lì. In senso metaforico invece ci sono tante altre cose che restano in senso figurato ma, come avrete capito, le radici sono andate perdute qualche passaggio prima e ora chi vive privo di tali orpelli può anche seguire trasmissioni dedicate alla propria città natale, come FuoriRoma con Concita De Gregorio di domenica prossima su #Rai3, senza versare nemmeno una lacrima.
Mi sento così provinciale io che mi sono spostata si 12 km da un piccola città alla sua provincia