al bistrot della galleria d’arte contemporanea

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Per qualche minuto possiamo fare finta di non essere in Italia. Intorno a noi ci sono avventori di altri paesi con i loro idiomi con cui si raccontano cose divertenti e ridono e tu mi chiedi come sia possibile che si comprendano tra di loro. Potrebbero fare finta, è quanto sostieni tu. Fanno finta di capire le freddure e i giochi di parole e in realtà è una specie di lingua inventata al momento apposta per noi, per farci sorprendere di quello che succede. E mentre stai in silenzio, un silenzio che però è in italiano, provo a immaginare che il nostro lavoro è di quelli che nessuno ce li potrà mai togliere. Un impiego fisso e intoccabile e che può succedere qualunque cosa ma avremo per sempre uno stipendio decoroso. Su questa base scorrono in un forsennato zapping tutte le cose che potremmo fare o anche solo comprarci, a partire da una scelta dei piatti in questo bistrot della galleria d’arte contemporanea anziché accontentarci del menu a prezzo fisso. Faccio anche finta che siamo in una di quelle capitali europee che abbiamo visitato grazie a voli low cost che costano meno del mensile della metropolitana. A Londra, per esempio, con i tavoli stretti e quell’arredamento per ristoranti e bar che qui da noi non è ancora di moda e che sembra di stare in un allestimento dell’Ikea. Forse è la birra piccola a pranzo che mi fa accelerare certe sensazioni. Vedo Marco dall’altra parte del locale con il suo inseparabile alter ego. Parlotta con il cameriere che è un altra faccia nota e gli chiede di offrire da bere da parte sua alla ragazza tutta vestita di nero che si è appena seduta al tavolo di fianco al mio. Il cameriere si fa preparare un beverone fuori luogo per l’orario, il locale, il giorno, il posto in cui siamo, il periodo storico e persino la realtà in cui viviamo che non è uno di quei telefilm americani in cui, per abbordare qualcuno, si usa compiere azioni spregiudicate come questa. Comunque vada, prosit!

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