Nutro una smodata passione per i manifesti elettorali da quando anni fa ho fotografato, in Corsica, un candidato dal nome Alan Belviso che riempiva con il suo faccione tutt’altro che esteticamente gradevole un poster di non so quale partito locale. Ho apprezzato l’antitesi, forse voluta o forse no, anche se so per esperienza che da quelle parti l’italiano lo capiscono benissimo. Ma se devo dirla tutta, ho anche una passione smodata per i simboli dei partiti ed è per questo che ho la massima comprensione per la corsa che si consuma, a ogni appuntamento politico, per depositare il proprio prima degli altri. Mi diverto poi a cercare gli schieramenti più bizzarri, ce ne sono sempre tanti, e mi chiedo se all’estero succeda la stessa cosa, se il fatto di essere provocatori sia comunque un prodotto della democrazia e della libertà e se farsi beffe delle istituzioni sia un dono di cui essere grati. D’altronde, una democrazia corrotta e caciarona è sempre meglio di una tirannide fascio-grillista corrotta e caciarona, non vi sembra? I manifesti invece si stratificano su quei pannelli che gli addetti delle amministrazioni locali allestiscono a ogni tornata elettorale e di cui è facile capirne l’età un po’ come si fa con gli alberi contando i cerchi. Ne ho appena visto uno recante un brandello di una campagna elettorale in favore di Romano Prodi risalente almeno al 1996, se la memoria non mi tradisce, il che significa che anche la colla non è più quella di una volta. Alcuni sono montati al contrario, a testa in giù, e lo si deduce dal logo del movimento neonazista di turno giustamente capovolto alla moda di Piazzale Loreto ma d’altronde quando si mettono a punto in fretta e furia i preparativi per le elezioni non si va tanto per il sottile.