Le parolacce nelle canzoni italiane non trasmettono nessun grado di rabbia o insofferenza. Piuttosto hanno un timbro goliardico, per esempio nelle canzoni di Elio e le Storie Tese, irriverente, penso a “L’avvelenata” di Guccini, addirittura patetico e imbarazzante, è il caso di “Vaffanculo” di Masini. Il rap e il trap dei nostri giorni non rientrano in questa casistica perché traducono in flow il modo in cui si esprimono i nostri figli, tale e quale. Io, come sapete, sono esterofilo al 100%, per questo ho l’autorevolezza di sostenere che, invece, le parolacce nei testi delle canzoni inglesi o americane hanno tutto un altro valore e, soprattutto, un fascino senza confronti. C’è il primo verso, in questo singolo fresco di uscita degli Shame, band di South London altrettanto fresca di uscita, che dice
My nails ain’t manicured
My voice ain’t the best you’ve heard
And you can choose to hate my words
But do I give a fuck
Il pezzo è una bomba, la band pure, il loro disco è superlativo, e (da come lo dice) come non gliene frega un cazzo a Charlie Steen – il cantante – non gliene frega un cazzo a nessuno.