Serena ha paura di rimuovere il cerotto. Ha voglia di grattarsi sotto perché la pelle le prude ma la colla del prodotto made in China minaccia di far male anche se, su quel punto del dorso della mano, peli ce ne sono molto pochi. Così si fa coraggio: deve dare un’occhiata alla cicatrice per controllare fino a che che punto la ferita si è rimarginata. Dice di essersi procurata inavvertitamente un taglio piuttosto profondo ma a me sembra uno di quei graffi che fanno i gatti quando non gli va di essere tenuti in braccio. Il fratello di Serena inganna l’attesa al pronto soccorso scorrendo uno di quei fumetti giapponesi che si leggono al contrario. Lo incalzo chiedendogli come come sia possibile leggere una storia partendo dalla fine, ma non è uno che coglie l’ironia. Vorrebbe fare il regista ed è per questo che, anziché riconoscere la mia verve, rimarca il senso di quanto gli ho chiesto sostenendo che è vero, che le storie si capiscono soltanto dall’epilogo e che quindi è solo partendo da lì che si riesce a cogliere tutta la trama. Per questo nelle sue sceneggiature insiste sulla necessità di raccontare la vita delle persone partendo dalla loro morte. Gli esperimenti che ha messo in atto alla scuola di cinema sono un continuo spostarsi lungo la linea temporale, come gli piace fare a quel premio oscar di cui al momento mi sfugge il nome. Il guaio è che al fratello di Serena manca completamente il talento ed è per questo che, come tutti i suoi ex compagni di corso, si arrabatta in mille lavoretti di fortuna per tirare su una paga sufficiente. Gli faccio leggere così un articolo di Luca Sofri comparso sul Post ieri e che riguarda proprio questa cosa di cui soffre lui ma applicata al contesto degli scrittori, o aspiranti tali. Il succo è che per quanto tu ci possa provare in tutti i modi, cominciando dalla fine di una storia, dall’inizio o dal centro, non c’è trippa per gatti. Come dice il mio amico Davide, o sei Hemingway o se no perdi il tuo tempo. Nel suo caso il paragone va ancora con quel regista che si riconosce per il modo in cui monta le sequenze ma, appunto, come quel regista non c’è nessuno. Però il fratello di Serena su una cosa ha ragione: è da come muore una persona che si capisce che vita ha fatto, come sia stata la sua condotta, quali speranze abbia avuto e quali delusioni. Mica il contrario. “Mentre vivi tutto quello che è successo prima in realtà non è finalizzato a nulla se non al presente”, aggiunge. Non ho capito ma non importa. Torno a osservare la cicatrice di Serena. Lei mi vede che la sto guardando, si gratta ancora la pelle per provare a lenire il fastidio, e suo fratello approfitta del fatto che ho smesso di fare conversazione per arrivare a pagina 1 (legge veloce tanto sono solo figure) che per i giapponesi dev’essere l’ultima e chissà loro cosa intendono, per quarta di copertina.
Iniziare dalla fine a volte mi piace….anche negli episodi di Colombo si sapeva subito chi era l’assassino, per dire, ma in genere preferisco andare all’avanti, come in treno. Se no mi viene il voltastomaco. Buon Anno Plus