La notizia non è che, qualche giorno fa, in una scuola friulana si sia scelto di far cantare ai bambini una canzoncina di Natale sostituendo alla parola “Gesù” la parola “Perù”. O meglio, si tratta sicuramente di un fatto in grado di solleticare la voglia di scontro tra cattolici e laici che, a ridosso del dibattito elettorale, è tutto grasso che cola. La notizia è che il ministro Lorenzin ne abbia twittato solo poche ore fa, a tre giorni di distanza. Meno male, mi vien da dire: è infatti solo grazie a lei che sono venuto a conoscenza di questo increscioso tentativo di esercizio di stile.
Sono pochi i termini che possono sostituirsi a “Gesù”, questo indipendentemente dal fatto che ci crediate o meno, e mi riferisco al suo ruolo nelle canzoni natalizie e, di conseguenza, alla sua imprescindibilità metrica. “Perù” al posto di “Gesù” ci sta a pennello, ma la vedo dura dal punto di vista contenutistico. Il “bambin Perù” non vuol dire niente e di parole tronche e vagamente sacre non ne abbiamo molte a repertorio. Qualcuno ha suggerito “Pelù” che, a suo modo, può esser considerato una divinità, anche solo per il concetto del “Corpo che cambia” e di tutto quanto richiama alla transustanziazione. E anche il “bambin Pelù” ha un suo perché: cantanti dei Litfiba si nasce, mica si diventa.
Altri hanno proposto il cambio con “menù”, che non si è mai capito se vada scritto con l’accento o senza, soprattutto da quando è diventato uno dei concetti base dell’Internet. Provate a fare un sito privo del pulsante menu (rigorosamente senza accento) e poi ne riparliamo. Miliardi di navigatori si perderanno lungo la mappa del sito e non sapranno più tornare a casa.
Altre parole tronche che finiscono con la u accentata e di senso idoneo alle canzoni natalizie in grado di non offendere nessun non cristiano, in caso di presenza, o cristiano, in caso di assenza, non me ne vengono. Forse virtù, ma di difficile comprensione nell’era delle abbreviazioni sui socialcosi. Pupù, ma sarebbe ancora più blasfema. Cucù, ma ce lo vedete un orologio svizzero a insegnare la fede al paese che ospita lo stato del Papa? Allora, per far contenta la Lorenzin, meglio lasciar stare i giochi di parole e puntare il dito contro la scuola, colpevole di aver troncato la fede di milioni di credenti per un volgare problema di grammatica del buon senso. Il vero problema di questo paese, come è noto, sono infatti gli insegnanti.