Alla festa di Natale quest’anno l’azienda dove lavora Matteo ha letteralmente sbragato invitando a suonare, al posto della solita pallosissima tribute band del Liga o, peggio, anziché lasciare il palco al triste gruppo formato da dipendenti e collaboratori, addirittura gli Skunk Anansie. Credo sia vero perché ne ho trovato traccia anche sui social media così, per trasmettergli la mia invidia, gli mando una jpg facilmente rintracciabile sul web del miliardario russo che festeggia il compleanno della figlia con gli Aerosmith. La mattina dopo, mentre Matteo ed io ci dirigiamo ai rispettivi uffici sullo stesso treno, viene fuori che il gruppo capitanato da Skin ha avuto un successo in Italia molto più ampio rispetto al Regno Unito e, in generale, ovunque. Il mio contributo alla conversazione riporta un aneddoto che ho sentito dal mio capo: Skin vive a Milano da molto prima che tornasse alla ribalta come giudice di X-Factor ed è stata per molto tempo una habitué di un celebre locale alla moda per amanti della musica trasgressiva.
Matteo, oltre a percorrere quella tratta dalla periferia al centro, viaggia come me sulla cinquantina e ai tempi di “Post Orgasmic Chill” aveva già altro a cui pensare. Ci ricordiamo allora di un nostro collega (di cui non posso fare il nome qui, potete immaginare il perché) che era rimasto letteralmente folgorato dal video di “I can dream”, tratto dal primo album degli Skunk Anansie e uscito a metà anni novanta. Alcuni tratti distintivi di Skin, uniti a certe sue smorfie, rientravano ampiamente all’interno dei suoi canoni estetici.
Così Matteo mi riempie di particolari. Mi dice che il nostro comune amico sperava di incontrare Skin in giro per Milano e ogni volta che vedeva una ragazza nera e pelata in qualunque angolo della città pensava si trattasse di lei. Non fa in tempo a concludere l’aneddoto su Strange Days, sulla trama del film e sul fatto che il gruppo che suona in piazza la sera di Capodanno sono proprio gli Skunk Anansie, che accade la cosa che rende il tutto degno di essere riportato qui. Sul vagone su cui ci troviamo Matteo ed io sale una ragazza nera e rasata a zero, vestita con un parka verde. Sarà lei? Si siede, si copre la testa con il cappuccio della giacca e inizia a tossire vigorosamente. Da quel momento lì, sul treno ci troviamo a tossire tutti quanti come se la ragazza ci avesse contagiato con qualcosa e, soffocati dalla sorpresa e dai nostri stessi sforzi come se ci trovassimo al centro dell’attacco di una qualche arma chimica, a uno a uno perdiamo i sensi.