Nella scena successiva si vedono Sonia e suo marito Rino in coda al Gate 58, pronti per l’imbarco. Rino chiede a Sonia di mettere via il suo smartphone da mille euro, un benefit aziendale, e per colmare il gap contenutistico le racconta della prozia Giulia che partiva con il lasciapassare del comando locale delle forze di occupazione nella borsetta, per evitare i problemi con i tedeschi ai posti di blocco, e pedalava in bici dalla città, lungo quaranta chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, per recarsi in visita alla sorella rimasta al paesello in collina. Il fatto è che nello stesso tempo in cui Andrea, il collega di Rino che vive in provincia di Varese, copre in auto la distanza da casa sua all’ufficio nel centro di Milano, loro atterreranno a Berlino. Certo, si tratta di fiction, ma è una cosa piuttosto comune anche nella realtà. Nella stessa sala cinematografica in cui stiamo vedendo il film ci sono persone come Sonia a cui capita di dover viaggiare andata e ritorno all’estero nello stesso giorno. Distanze di al massimo un paio di ore di volo. Parigi, Amsterdam, Londra, Praga. La Germania. Spostarsi così tanto per così poco come il lavoro e in meno di ventiquattrore non è una cosa naturale. Nel film addirittura Rino ricorda a Sonia il caso delle hostess e degli steward, per non parlare dei piloti, ma entrambi si vede che sanno che è diverso. Il significato di quella scena è che la modernità impone di aumentare il raggio del profitto di un valore che nessuno probabilmente ha mai contemplato come fattore dell’evoluzione umana, e chissà se spararsi migliaia di km a una velocità impossibile per poi rientrare a casa la sera come se niente fosse non abbia in sé qualche conseguenza. “Ci pensi?”, chiede Rino, nel film. “Magari qualcosa di noi si sta trasformando irrimediabilmente”. Poi la scena cambia e tocca a loro di mostrare carta d’imbarco e passaporto. Sonia dice a Rino che si è portata l’equipaggiamento per correre, la mattina dopo, malgrado il freddo polare previsto. Questo dialogo induce due persone sedute nei posti dietro di noi a conversare. Quelli che parlano al cinema non li sopporto, come spero anche voi. Per farla breve, uno dice al suo amico a fianco, in un finto sottovoce, di preferire l’allenamento con il freddo. Il suo compare gli risponde che no, meglio il caldo, e aggiunge che quando correva i 1500 e gli 800 metri ai campionati giovanili italiani a Roma che organizzavano in giugno riusciva a dare il massimo. Stavo per voltarmi per dir loro di stare zitti o, per lo meno, per far notare quanto quel dettaglio non fosse pertinente alla conversazione e trasmettesse, invece, l’inutile boria di mostrare a tutti i costi dei risultati per aumentare la propria autorevolezza sociale, poi però ho preferito lasciar stare per non perdere altri passaggi della storia sullo schermo.