Gli smartphone sono lo specchio dell’anima, un display della nostra personalità ma anche il monitor di servizio in cui teniamo sotto controllo tramite dashboard (impensabili solo fino a qualche decennio fa) tutto quello che si agita dentro di noi. Sarà per questo che lo schermo lo rivolgiamo sempre rivolto verso noi stessi, sarà per questo che ci sono fior di impiccioni che sbirciano negli smartphone altrui in mano a gente sconosciuta e non. Non è un atto di accusa contro nessuno perché io lo faccio sempre, senza pudore. Tutto ciò che viene esposto è pubblico, non trovate? Ma l’osservazione degli smartphone altrui accesi in luoghi pubblici non porta mai a niente di interessante. Niente immagini scollacciate o per lo meno nulla che non passi nei nostri stream. Niente conversazioni testuali piccanti o degne di essere seguite, anche perché a furia di comunicare non abbiamo più un cazzo da dirci. Niente dati sensibili con cui estorcere qualche euro in qualche modo a qualcuno. Niente di niente. Solo adulti che fanno giochi da bambini e nel migliore dei casi si cimentano con il solitario di Windows, ragazzi che guardano siti di scarpe che con il costo di un solo paio ci mando mia figlia all’università, foto di pietanze tutte acchittate come se la bontà di un piatto fosse esclusivamente la sua bella vista e non il sapore (c’è tutta una letteratura sull’imbellettamento del cibo per ritrarlo in ghingheri in modo da attirare allocchi sulle confezioni dei prodotti), selfie con le solite boccucce, mamma butta la pasta che arrivo o dialoghi del genere su Whatsapp, copertine di dischi di musica di merda a partire da un album di Zucchero che ho notato sul telefono di una donna seduta a fianco a me in treno, poco fa. Così pensavo che se gli smartphone sono lo specchio dell’anima ne risulta un riflesso di povertà intellettuale e non, propensione ai passatempi infantili, gusti discutibili, egocentrismo e, soprattutto, voyeurismo, almeno tanto quanto il mio mentre scruto voi che scrutate, dentro lo smartphone, i fatti degli altri.
Quando in treno vedo qualcuno che usa un palmare, penso sempre stia consultando la rassegna stampa o lavorando a una presentazione; poi mi alzo per scendere dal treno e scopro che gioca a Candy Crash.