Ieri sera ho assistito a una puntata di un’interessante trasmissione su una di quelle emittenti televisive inutilmente colte con le quali gli intellettuali di sinistra si ostinano a difendere il primato della TV tradizionale rispetto a Sky o Netflix. Il format senza dubbio è vincente. Un viaggio negli USA attraverso una serie di incontri con alcuni autori, tra i quali alcuni dei miei beniamini. Sono rimasto sorpreso soprattutto da Richard Ford, il mio scrittore preferito in assoluto, nella sua casa nel Maine. Si è prestato all’intervista indossando una maglietta verde visibilmente stropicciata e con il colletto tutto consumato, un capo che a malapena indosserei per rimettere a posto il box, figuriamoci per un programma di quella levatura. Di certo non di quel verde.
Ma uno scrittore come lui, per giunta il mio preferito in assoluto, non lo si deve giudicare da tali apparenze, anzi scommetto di esser stato l’unico ad aver prestato attenzione a un dettaglio così infantile. Richard Ford parlava di argomenti di una profondità difficilmente descrivibile e io continuavo a soffermarmi sulla sua t-shirt. Temi come la vita e la morte, la narrativa e la storia recente, l’undici settembre. Le maniche visibilmente non stirate, o stirate molto male. Di certo molto peggio di come le stirerei io.
Poi dopo, scorrevano i titoli di coda e io li leggevo distrattamente, ho riflettuto sul fatto che sarebbe impossibile per me raggiungere un tale livello di cultura, ma anche umano in sé. Ho avuto la consapevolezza di sapere di per certo che non riuscirò mai a sostenere conversazioni come quelle a cui avevo appena assistito, anche solo per un istante nella mia vita. Nemmeno allenandomi allo stesso modo con cui meticolosamente pratico, con risultati risibili, la corsa, considerando cioè l’intelligenza un muscolo come un quadricipite qualsiasi.
Non ce la farei nemmeno se imparassi a memoria una sola di quelle cose intime che Richard Ford ha condiviso con i suoi lettori, me in primis, e non solo lui ma uno qualunque degli altri scrittori intervistati. Nemmeno se imparassi a memoria una sola di quelle cose e poi se la ripetessi come uno scolaretto con la sua poesia al cospetto della maestra. Nemmeno se registrassi la trasmissione come quando faccio le mie interviste di lavoro, per poi sbobinarle e riportare i virgolettati con il linguaggio più simile a quello reale di ogni persona di cui devo scrivere. Nemmeno se avessi quelle maledette cose dette da un’intelligenza fuori dal mondo stampate davanti e le leggessi parola per parola facendo finta che è farina del mio sacco. Richard Ford e quella sua cazzo di maglietta verde con il colletto tutto consumato.
E il punto è proprio questo. Sentendo parlare Richard Ford e quegli altri autori americani, ho capito immediatamente che per fare lo scrittore occorre essere persone come Richard Ford e non, invece, andare in fissa su una maglietta verde, inadeguata per un programma culturale. Gli scrittori hanno in mente certe cose che uno che si distrae per quello che indossano non può nemmeno immaginare. Ed è solo sentendo gli scrittori parlare che si capisce perché quelli con la maglietta verde fanno gli scrittori e quelli con la maglietta nera di Unknown Pleasures invece no.
Questa cosa della maglietta verde stropicciata mi fa molta molta simpatia ed è un peccato che non abbia mai letto nulla di Richard Ford. No, non è stirata, si vede bene. E se lo può permettere perché è a casa sua, come Fidel accoglieva in tuta il Papa. È un messaggio preciso e molto forte: ho dei contenuti importanti da dire, sono a casa mia, ascoltami. Non distrarti. E infatti c’è riuscito. 🙂
ecco, capisco perfettamente quello che dici. Io avrei impiegato due giorni a scegliere il look più adeguato e non mi sarebbe uscito un concetto decente nemmeno a pagarlo… eppure mi sembra di averne tanti da esprimere