Ho fatto piazza pulita una decina di anni fa per liberare spazio e perché, oggettivamente, della rivoluzione digitale in fase di compimento quella era davvero la componente più anacronistica e superflua. Prima ho messo in cantina la doppia piastra, che faceva dell’impianto una torretta difficilmente collocabile in casa, tutta colpa dell’altezza fuori dei parametri del mobilio standard. Sarebbe stato complicato poi tenere tutte quelle Maxell e TDK da sessanta o novanta minuti in giro con le custodie che si fracassano così facilmente. Per giustificare la presenza di così tanto vinile, poi, era fondamentale scendere a qualche compromesso. Se già alzarsi per girare la facciata di un disco ogni venti minuti ai tempi di Spotify non esiste, figuriamoci attendere l’avanzamento veloce o il riavvolgimento di un nastro per trovare a tentoni il pezzo da ascoltare. Ricordo ancora quel gesto drastico: un scatolone di cartone rovesciato nel container dei rifiuti ingombranti alla piattaforma ecologica e tutte le cassette che cadono. E chi si è visto si è visto.
Il problema erano però certe cassette particolari, quelle categorizzabili nel sottoinsieme delle demo. Nelle demo c’erano le canzoni che si registravano con la band che poi, prima dellInternet, si spedivano a locali, redazioni di giornali, concorsi, case discografiche. Le demo si registravano pagando di tasca propria gli studi di registrazione che, in cambio, ti restituivano i tuoi sogni mixati di tutto punto su nastri dozzinali ma che poi, ascoltati sull’autoradio o con il walkman tornando a casa dopo un pomeriggio di mastering, mandavano al top gli ormoni delle velleità da rockstar. Ascoltare quelle demo su cassetta, ai tempi dell’hard disk recording e dei virtual synth, fa sorridere: composizioni approssimative, suonate male e incise peggio, con quei ronzii che solo gli ampli e i sintetizzatori analogici di un tempo sapevano emettere. Il problema, però, è che oggi per molti noi ascoltarle è comunque impossibile perché sono in tanti quelli che, come me, hanno buttato via tutto, presi da un delirio di iper-sopravvalutazione delle proprie capacità di mettere a tacere la nostalgia.
Così di quelle cassette con i nastri quasi consumati è difficile che ne resti traccia. I più lungimiranti hanno già digitalizzato le registrazioni da tempo e pubblicato i loro successi – incompresi allora e oggi – su youtube. I più stolti, come me, si canticchiano le canzoni composte a quattordici, diciotto, vent’anni cercando di ricordarne le strofe, gli arrangiamenti, i suoni, il bpm, la tonalità, l’ultima nota dell’esecuzione a ridosso della certezza di non aver sbagliato nulla, la sorpresa del primo ascolto. Tutto svanito. A meno che qualche amica non spunti fuori trent’anni dopo con una copia di una di quelle cassette di cui, per motivi che potete immaginare, le si aveva fatto omaggio. Non riesco a immaginare il momento in cui schiaccerò il tasto play non appena ne verrò in possesso e l’incantesimo che si manifesterà.
L’incantesimo con l’amica?