vi presento Nadine, se non la conoscete ancora

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Mi sono innamorato di Nadine Shah senza ritorno. Mi sono imbattuto nelle sue canzoni, nel suo timbro, nel modo in cui sta sul palco. Mi piace quello che fa, quello che dice, come suona la chitarra. Avevo divorato il suo penultimo disco uscito nel 2015, “Fast Food”, una copia del quale è ben conservata nella mia collezione di vinile. Da lì ero andato a ritroso scoprendo il suo ellepì d’esordio, “Love Your Dum and Mad”, risalente a due anni prima, anch’esso molto intenso e appagante. Poi Nadine ha pubblicato lo scorso agosto “Holiday Destination”, un capolavoro di musica e testi impegnati incentrato sul dramma dell’immigrazione e della condizione dei profughi dei nostri tempi. Da lì non c’è stato più niente da fare e, se la osservate qui sotto, è facile capire il perché.

Un giorno, con più calma, vorrei scrivere qualcosa di più su quello che ci lega anche se Nadine al momento ne è all’oscuro. Non prendetemi per stalker, però. Tantomeno per un cretino. Il guaio è che certa musica fa tornare in auge l’adolescente che è in me. Ma questo modo di viverla, lo abbiamo detto più volte, è frutto unicamente dei cinquant’anni e del mio dedicarmi unicamente all’ascolto senza aver più toccato un tasto di un synth amplificato, una condizione di beatitudine che se l’avessi identificata prima probabilmente sarei diventato un vecchio più felice. Ma più felice di così, mi direte, è un’impresa difficile.

E come avevo scritto per Valerie June, altra musa oramai parte di me, la via più edificante per superare le discussioni sulla disparità di genere è quella di acquistare dischi di donne. Se volete leggere la mia recensione su “Holiday Destination” la trovate qui su Loudd.it.

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