Qui in periferia, grazie all’abbondanza di spazio e all’ampia disponibilità di immobili originariamente pensati per attività produttive da svolgersi su vasta scala, non è raro imbattersi in esperimenti di ristorazione in grado di ospitare simultaneamente una quantità di avventori decisamente spropositata. Nella maggior parte dei casi si tratta di operazioni commerciali di franchising o comunque insegne che non è difficile poi trovare ripetute in diversi punti dell’hinterland, laddove è frequente la presenza di capannoni o stabilimenti desueti poi rilevati, ristrutturati e restituiti sotto forma diversa di hamburgeria, giropizza, saporificio o che altro ma con lo stesso denominatore comune, quello dei coperti, solitamente in numero da capogiro.
L’intento di questa branca della ristorazione di massa, o meglio il suo target, va individuato nella capacità di accogliere corposi gruppi di persone allo stesso tavolo, casi che un tempo si manifestavano esclusivamente in occasioni speciali ma a cui oggi, era in cui la convivialità è diventata una delle poche circostanze di vita sociale al di fuori dell’ufficio, sono all’ordine del giorno (anzi, della sera) ed è impossibile sottrarsi. Pensate a quante pizzate, gnoccofrittate o spaghettate non possiamo negarci a ogni fine di qualcosa (la scuola dei figli, il corso di cinese, la zumba), moltiplicate questo valore per il numero di abitanti che vi circonda, e immaginateli tutti insieme il prossimo sabato sera in quel posto dall’aspetto avveniristico/western/bio-sailcazzo che scorgete ogni giorno passando in auto in tangenziale e dotato di un parcheggio che nemmeno l’Ikea di Carugate.
Anzi, non immaginate come potrebbe essere, ma provate direttamente sul campo: uscite in due o in quattro o in sei, giusto un paio di coppie per ritrovarsi dopo le vacanze e fare quattro chiacchiere davanti a una salsiccia e friarielli bianca e una birra media in quel iper-tavolacalda lì sabato prossimo a cena.
Non c’è niente di male a investire milioni di euro in un posto così, peraltro dove non si mangia nemmeno male, per poi guadagnarne dieci volte tanto sfamando dai cinquecento coperti in più a botta contemporaneamente. Il problema dei cinquecento coperti in più a botta seduti contemporaneamente, con l’aggiunta di musica solitamente di pessima qualità ma di immediata riconoscibilità di sottofondo, rende queste mense del terzo millennio dei gironi infernali per chi invece intende il mangiare insieme come un “di cui” di un momento della convivialità su piccola scala.
Scambiare le quattro chiacchiere di cui sopra diventa impossibile, rilasciare confidenze urlando perde tutta la sua poesia e il suo impatto emotivo nei confronti dell’interlocutore, battute e ironia muoiono sommerse nel boato generato da centinaia di voci che contemporaneamente tentano di divertire il proprio vicino di tavolo con battute e ironia e, alla fine, si cerca di terminare in fretta i resti della propria pizza salsiccia e friarielli per uscire al più presto da lì, tra i resti dell’archeologia industriale di periferia, dove i forti limiti dell’incapacità urbanistica di generazioni di amministratori passati hanno lasciato un triste segno e ti fa passare all’istante la voglia di stare insieme. Meglio tornare a casa e, la volta successiva, assicurarsi su Internet della capacità del posto in cui scegliere di trovarsi, senza contare che il posto più bello per incontrarsi, gira che ti rigira, resta sempre casa propria.