Riassunto delle puntate precedenti: è il 2017 e ormai la grande truffa dei Social Media ha convinto un’intera economia globale che i giochi si fanno su Facebook. Le aziende sono accorse pensando di aumentare i profitti, fare brand awareness, avere il polso delle relazioni con il proprio ecosistema di clienti e partner. Ma si sa, le aziende sono fatte di persone e, fondamentalmente, nei social network generalisti come Facebook, questo è il problema. Mescolare affari e vita privata è un’arma a doppio taglio: puoi piacere di più a qualcuno che ti conosce anche per quello che fai dietro le mura domestiche dei tuoi profili personali a quindi incrementare il fatturato, ma anche il contrario. Alternare post dell’azienda di cui si fa parte ad altri personali comporta un’attenzione ai contenuti doppia: i contatti professionali, abituati a leggere di cose attinenti al lavoro, potrebbero rimanere, appunto, doppiamente spiazzati sia per l’incursione intima che per i contenuti in sé che si postano.
Questo preambolo perché, qualche giorno fa – Anno Domini 2017 – un mio contatto di Facebook ha condiviso la bufala della sorella della Boldrini/Jessica Jones da una pagina nazi-fascio-grillista. Non ci sarebbe nulla da stupirsi se non fosse che:
– è il 2017
– si tratta di una marketing manager di una multinazionale che fa dei social media e della trasformazione digitale un cavallo di battaglia
– usa Facebook quasi esclusivamente per usi professionali, pubblicando più che altro news corporate
– fa parte di un dipartimento interno alla sua azienda che promuove programmi per le pari opportunità delle donne nel mondo del lavoro.
La morale di questa storia la si trova su piani diversi: se ti assurgi a portavoce di un’azienda, quindi una pluralità di opinioni oppure, nei casi più tradizionali, una vision unitaria, non puoi pubblicare news così fortemente caratterizzanti, a meno che quello non sia il tuo profilo privato di Facebook e basta. Ma se il tuo esser portavoce è ufficializzato, in qualche modo, devi pagare per il danno d’immagine che hai recato alla tua azienda anche se, in quel post sulla Boldrini, l’azienda non era nominata.
Non solo. Se oltre a pubblicare una notizia fortemente caratterizzante la notizia è anche una volgare bufala smascherata da tempo, il tuo ruolo professionale prevede come minimo di essere aggiornata sui social trend – le fake news in primis – quindi la figura di merda è duplice. A questo si aggiunge l’aggravante di aver gettato fango su un ruolo istituzionale ricoperto da una donna, in un momento in cui il dibattito sulla parità di genere è al centro dell’opinione pubblica, da una posizione in cui si presume una sensibilità particolare su tematiche inerenti le donne e la loro percezione nella società, nella classe dirigente pubblica e ai vertici dell’economia.
Insomma, ovunque la giri la cosa è di indubbia gravità. Ho provato così tanto imbarazzo per lei che l’ho rimossa subito dalle amicizie. A voi non capita di vergognarvi per gli altri e dover distogliere lo sguardo? Ecco, la revoca dell’amicizia su Facebook è il distogliere lo sguardo per la vergogna, ai tempi del marketing digitale.