Che cosa ce ne faremo dei vostri dischi quando morirete è una delle domande che non vorremmo mai sentirci porre perché, in fondo, un fondo di verità ce l’ha. È un’esperienza che ho provato in prima persona. L’intera collezione su vinile di musica classica, prevalentemente organistica, di mio papà giace inutilizzata aspettando di cambiar casa e giradischi, ma il problema non è tanto che non saprei dove metterla, anche se in effetti non ho spazio, quanto che una vita non mi basterebbe per ascoltarla tutta, senza parlare del fatto che si tratta di un genere che non è nelle mie corde e, se ho tempo da dedicare alla musica, scelgo altro. La stessa cosa, di noi e di quello che ascoltiamo, penserebbero i nostri figli e, a medio termine, i nostri partner. Per questo una efficace dichiarazione d’amore potrebbe iniziare con “vorrei essere la tua collezione di dischi”, e quale miglior risposta, ai tempi di Netflix, se non “vorrei essere la tua serie tv”. Un reciproco scambio di intenti erotici che va nell’intimo di un individuo, nella stanza più profonda dove si decidono i giochi, le mosse, i desideri da appagare, le decisioni da prendere. Un antidoto all’algoritmo del fallimento facile da scardinare, basta individuare il bug e la vittoria è alla portata di tutti. Che poi, oggettivamente, anche se si perde, chi se ne importa, tempo un paio di secoli e di quella serie tv, come della collezione di dischi, si perderanno le tracce.