abolire le provincie ma preservare il provincialismo

Standard

La soluzione che hanno scelto Sara e Alberto non è di sicuro la più comoda, secondo me e secondo il buon senso comune, ma di certo è la più originale o, per lo meno, quella che chi conosce la loro storia si può giocare come cosa da raccontare quando si vuole porre fine a una discussione in proposito perché aneddoti così non plus ultra, diciamo, non ce ne sono. Se vi piace vincere facile e volete passare per quelli più fighi, se siete a tavola con amici e la conversazione si sposta sul tema della convivenza, potete far finta anche voi di conoscere Sara e Alberto come sto facendo io – questa storia me la sto inventando di sana pianta, come quasi tutte del resto – e chiudere la questione raccontando di quando Sara e Alberto sono andati a vivere insieme. Avrete un successone perché nessuno oserà spingersi oltre per evitare di sfigurare. Vi consiglio però di raccontarla proprio come ho fatto io, e qui non vorrei sembrarvi presuntuoso, dicendo che Alberto e Sara hanno scelto la soluzione più originale.

Abitavano in due grandi città molto diverse tra di loro, a 120 km di distanza ma ben collegate sia dalla ferrovia che dall’autostrada (nella mia versione le città sono Genova e Milano, ma sentitevi liberi di cambiarle a vostro piacimento. Stesso discorso per i nomi, nessuno si offenderà perché non è stato citato correttamente). Hanno così diviso 120 per due e trovato un punto sulla cartina che corrispondesse grosso modo a quelle coordinate riconducibili alla metà, ma che avesse le sembianze di un paese abitabile, dotato delle comodità base per ospitare una coppia alle prime armi della convivenza, quella fase in cui qualsiasi cosa si manifesta come un miracolo. Chi non l’ha provato? Tentare coreografie col carrello della spesa al supermercato, fare sesso sul tavolo da pranzo subito dopo colazione, scegliere a cazzo complementi d’arredo all’Ikea tanto, con quello che costano, si possono rompere o cambiare quando si è stufi. Alberto e Sara avevano mantenuto i loro impieghi nelle ex città di residenza e poi, percorsi all’andata e al ritorno in treno le rispettive distanze casa – lavoro – casa, nella cittadina scelta si fermavano gli Intercity, si ritrovavano la sera nel loro nido d’amore ubicato in una comunità la cui esistenza era indifferente alla loro vita. Intervistato al TG della sera, Alberto aveva affermato che quello che l’aveva spinto verso Sara era la volontà di non dare più seguito a delle relazioni virtuali coltivate in Internet e, fedele a questo proponimento, aveva ammesso che per un bel po’ di mesi non aveva più parlato con nessuno. Sara invece aveva la strana abitudine di emettere strani sbuffare mentre pestava le dita scrivendo sulla tastiera del PC e, provando imbarazzo per questo modo di digitare parole, sperava di non dover più trovarsi nella condizione di usare un computer al cospetto di un uomo.

In quella cittadina dal nome così caratteristico c’era persino una piccola sala cinematografica con una programmazione da club di intenditori e a nemmeno un’ora di macchina si poteva raggiungere il mare o una delle numerose attrazioni della metropoli lombarda che la rendono così appealing ai giovani e questa, vi assicuro, è un’opinione diffusissima anche all’estero. Tempo fa ho conosciuto una famiglia tedesca che, mostrandomi un selfie super-sorridente scattato in una Piazza del Duomo con un sole sorprendentemente azzurro, mi ha chiesto quale fosse il motivo per cui in giro di bambini non ce ne fosse nemmeno uno. Io ho risposto che ci sono molti adulti che si comportano come i loro figli e ho raccontato proprio che Alberto e Sara si sono sposati vestiti da cosplayer ma, per farlo, hanno fatto armi e bagagli per Milano perché in quella cittadina equidistante in cui avevano preso la residenza il Comune gli aveva negato, giustamente, il permesso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.