Il momento in cui si palesa per la prima volta il tanto auspicato dialogo tra adulti con i propri figli arriva, prima o poi, e il passaggio a questa fase ha molteplici chiavi di lettura e, conseguentemente, permette altrettanti spunti di riflessione. Ma facciamo un passo indietro: li vogliamo grandi o piccoli, questi figli? Li preferiamo desiderosi di accudimento come gli animali domestici (spesso loro surrogato) oppure li vediamo pronti prendere in mano il nostro progetto come eredità qualunque esso sia, un’impresa, una passione o anche solo il primato nello stare al mondo che ci siamo costruiti e grazie al quale abbiamo trovato la formula per vincere sul prossimo? Certo, ogni variabile comporta conseguenze differenti dall’altra parte del rapporto. Figli piccoli implicano giovinezza lato nostro, figli adulti come minimo la mezza età. Insomma, basta che vi decidete. Io prendo un po’ quello che mi viene, un approccio ignorante che però al momento mi ha dato ragione. Ieri sera, per dire, eravamo soli a cena e per la prima volta ho avuto l’impressione di chiacchierare con una ragazza grande. C’erano già stati dei presagi riconducibili a quel particolare stato d’animo che va di pari passo con la condizione tipicamente femminile che conosciamo bene. Si erano verificate occasioni sporadiche in cui, durante alcune conversazioni, erano emersi processi logici molto diversi per i canoni della nostra famiglia e che potevano essere riferiti a un individuo a se stante anziché un elemento parte di un contesto che rielabora a modo proprio il lessico, il vissuto, il visto e il sentito in casa. Invece ieri sera a cena ho fatto domande a cui ha risposto una che si vedeva trovarsi al di qua della vita, o che comunque c’era già da prima ma è stata la prima volta in cui me ne sono accorto. In ogni caso, benvenuta.
Sono le 3.38 del mattino, ho 7 decenni (nel senso di bambini di dieci anni) che dormono per terra se materassi nella mia sala. Ecco, io vorrei solo che gli ultimi due si addormentassero. Davvero. Possiamo parlarne domani?