Secondo i ricercatori del Centro Internazionale di Musicologia Applicata di Rotterdam tra qualche secolo il mondo sarà una gigantesca e totale camera anecoica in cui il genere umano si rifugerà per cercare il massimo silenzio dopo secoli di strumenti acustici prima – ed elettrici e elettronici in seguito – percossi, pizzicati e insufflati con l’obiettivo di produrre volontariamente suoni appaganti. Il che, poche parole, significa la ricerca del silenzio totale. Ammesso che crediate a quello che scrivo e che la ragione stia dalla parte di noi che amiamo la musica a tal punto da aver passato l’adolescenza conciati come i Cure, c’è un modo per guidare a ritroso un’intera specie animale verso l’autoconservazione onde evitare questo aberrante suicidio culturale collettivo? Come si può salvare l’uomo dal mal d’orecchie congenito causato dall’uso contronatura della forma canzone?
Lo studio portato a termine dal team di accademici olandesi ha previsto anche una serie di sperimentazioni su un focus group tutto italiano composto da under 18 con il quale è stato condotto un dibattito a seguito dell’ascolto collettivo dell’ellepi “Sotto il segno dei pesci” di Antonello Venditti, uno degli esponenti di punta della stagione cantautorale locale sviluppatasi verso la fine del ventesimo secolo. Le giovani cavie sono state propedeuticamente introdotte al background da cui sono nate esperienze artistiche di quel tipo e alla necessità di unire una componente orale melodicamente complementare al substrato armonico prodotto da strumenti suonati contemporaneamente, secondo regole accettate dagli strumentisti e principi in linea con la percezione dovuta a un comune universo sonoro collettivo (frutto di abitudini di ascolto e di studio stesso della musica diffuse e regolamentate). Il dato più significativo emerso però risulta dalla difficoltà dei ragazzi coinvolti nella ricerca di cogliere il senso compiuto del testo inteso come successione di parole volte a trasmettere concetti, emozioni, figure e significati tout court. Ho letto così questa notizia a mia moglie e ci è venuta voglia di ripetere l’esperimento, malgrado certe cose che fanno nei laboratori è meglio non riprodurle poi a casa, lo dicono spesso quando le fanno vedere alla tv e c’è persino un frase di avvertimento standard che si mette all’inizio dei video che, però, così sui due piedi mi sfugge. Ci siamo però fermati alla prima facciata del disco e anzi, dopo la titletrack e quando dice “Ed il rock passava lento sulle nostre discussioni, 18 anni son pochi per promettersi il futuro” perché l’emozione, oggettivamente, era troppo forte, come se qualcuno ci avesse rivelato una verità di cui ormai c’eravamo dimenticati anche se si tratta solo di Venditti che, davvero, sappiamo tutti la fine che ha fatto.
In caso l’esperimento sia ancora in corso, suggerirei di partire gradualmente con testi diretti, di immediata comprensione (De André, Bennato, Guccini). Alle cavie più dotate si potranno in seguito erogare dosi controllate di liriche più complesse, ermetiche e immaginifiche (tipo Dalla, De Gregori, Vecchioni). Soltanto su esemplari accuratamente selezionati tenterei l’esposizione controllata di Battiato. Chissà se recepiranno.
Alla peggio, di nuovo tutti in camera anecoica…
giusto: Battiato non lo capisce nemmeno Battiato