Potrei iniziare con una considerazione smaccatamente stagionale: la primavera è un’accozzaglia di mesi diversi tra loro per clima e mood in genere che sono stati messi insieme solo per l’unico aspetto comune che hanno. In primavera, in ufficio, non si riesce a combinare un cazzo. In quanto a interruzioni del proprio ritmo professionale dovuti ai fattori che sappiamo, a partire dalle feste, dai ponti, dagli ormoni che saltano come cavallette e dall’aria frizzantina (sempre che ci sia il sole) la primavera è seconda solo al mese di dicembre. Gli imprenditori fingono di non sapere e a me mi interessa relativamente che i vertici dell’agenzia di cui sono dipendente leggano le cose che scrivo riguardo alla mia, di produttività. Mi preme di più, al limite, l’impressione che potrei destare negli animi dei miei potenziali futuri datori di lavoro. Del resto, siamo in molti a pensare di essere famosi e conosciuti non tanto per i nostri blog ma più per tutti i curriculum che abbiamo inviato. Io che conservo la posta su Gmail anche degli anni sessanta ho calcolato in diverse migliaia le aziende a cui, nel corso degli anni, mi sono candidato. Mi immagino quindi di camminare per strada e di essere additato da altrettanti responsabili risorse umane di tutta Italia. Oppure, riflettendo sulla copertina del mio ultimo romanzo di successo, qualche manager che sospira per l’occasione persa di vedermi operare per il suo brand. Un pezzo grosso di Confindustria che mi vede argomentare cose a un talk show e, dal rimorso per non avermi ingaggiato, salta subito al canale successivo dove, manco a dirlo, c’è gente che si abbuffa. D’altronde la tv gronda di sugna ad ogni ora ma, nell’Internet che non vuole essere da meno, la maggior parte delle pagine web sono macchiate di unto. Il motivo? Prima di mettere le dita sulla tastiera per scrivere di come cucinate questo o quest’altro dovreste lavarvi le mani perché la puzza dei vostri spignattamenti sui social comincia a essere sempre meno sopportabile. Quella del foodblogging è una truffa a tutti gli effetti, dice Report ma io non sono assolutamente d’accordo. La truffa è insita nell’Internet che riflette quello che siamo, e là fuori è pieno di gente pronta a fregarci nei modi più impensati e a tutte le ore del giorno, nelle situazioni più disparate della nostra vita. Mia zia, per farvi un esempio, a mia zia hanno rubato la borsa e il portafoglio che conservava dentro mentre si trovava all’ospedale. Anzi forse era appena stata operata ed era ancora sotto anestesia. Mia mamma pure: aveva €70 nel cassettino. Io glielo avevo detto: “mamma, in ospedale i soldi non ti servono”, ma lei niente. Mia mamma è della filosofia del non si sa mai e quindi si è fatta ricoverare con dei contanti quando, al massimo, quello che le sarebbe servito erano pochi spiccioli per prendersi un caffè. Un caffè o un tè alla macchinetta. Insomma, un bel giorno mia mamma va in bagno e quando torna i 70 euro dentro al cassetto non c’erano più. Cazzo. Uno pensa di essere truffato o di subire una rapina quando è in salute e alla luce del sole, oppure di notte quando non c’è nessuno e un rapinatore può sorprenderti da dietro e rubarti il portafoglio. Invece no e occorre stare attenti per esempio se in macchina qualcuno ti suona perché ti dice che hai le gomme a terra così ti fermi e, quando rientri in macchina, la borsa non c’è più. Oppure all’autogrill vai alla cassa per pagare il rifornimento che hai appena fatto e quando rientri in macchina tutto è sparito. E in primavera sono molte le cose che volgono al termine, a partire dalla scuola dei figli e fino alle stagioni sportive. No, non mi sono dato allo sport agonistico, il mio background da musicista rock non me lo permetterebbe. Una cosa che vi può capitare se suonate in una band e praticate uno sport, infatti, è di trovarvi in partita e chiedere alla squadra avversaria che genere fanno.
“C’hanno rubato le borchie? Lo fanno, lo fanno…” (Cit.)