Punto primo: ma voi ve lo ricordate il casino che avevate in testa a quindici e sedici anni? Anzi, formulo meglio la domanda: ma voi vi ricordate quello che accadeva dentro di voi in quel periodo della vostra vita? E ora ve ne faccio un’altra ma esigo la massima onestà: davvero barattereste la vostra stabile maturità e un corpo un po’ smagliato, iperteso e presbite per la totale anarchia di stati d’animo, ormoni, erezioni a comando (no aspe parliamone), impeti e valori di voi stessi in seconda superiore? Sì, certo, guadagneremmo quarant’anni di vita, la contemporaneità con gli scaffali gremiti di C90 della TDK zeppe di ellepi dei Joy Division, ma non ricomincerei da capo nemmeno se mi pagassero (no aspe parliamone). Il guaio è che oggi adulti e gente quasi anziana come me ma per certi versi ancora adolescente hanno monopolizzato la cultura, oltreché le stanze dei bottoni e il mercato del lavoro, e farciscono le cose che fanno con la loro giovinezza irrisolta come si fa con i savoiardi e il caffè nel tiramisù.
Punto secondo: se siete come me, e se mi leggete so che lo siete, ricorderete perfettamente che nel pieno del casino dei quindici o sedici anni ci si innamorava di ragazze fatte come questa qui:
A me questa cosa mi ha molto impressionato perché in ogni scuola, in ogni classe e anche in ogni compagnia c’era una ragazza come Hannah Baker che non era appariscente o popolare come le varie Jessica ma aveva proprio quelle sembianze, quegli occhi, quella pelle. Le ragazze come Hannah Baker ci facevano uscire di testa, non dormivamo e saltavamo le prove con la band per cercare di incontrarle in giro, poi le vedevamo con il nostro migliore amico e loro dopo ci sorridevano ma alla fine della tredicesima puntata non le riuscivamo mai ad avere. “13 Reasons Why” ha tutti i suoi difetti, è lenta e ha una sceneggiatura che a volta sembra appiccicata con lo scotch di carta. Eppure la scelta dell’attrice per il ruolo di Hannah Baker non avrebbe potuto essere più efficace di così.
Punto terzo: “13 Reasons Why” ci insegna, pur in una maniera molto americana e in un brodo romanzato che in un canale televisivo tradizionale probabilmente avrebbero liquidato in massimo quattro episodi, che dobbiamo stare con gli occhi aperti verso i nostri figli. Che dobbiamo capire anche se non ci parlano. Che i messaggi di aiuto sono da decodificare e la chiave per decifrarli è tutta dentro di noi. Ma se, ripeto, vi ricordaste il casino che avevate in testa a quindici e sedici anni, scommetto che a dei quindici/sedicenni come voi non gli dedichereste nemmeno cinque minuti a sentire le stronzate che dicevate, pensavate, progettavate, scrivevate, componevate, suonavate, registravate, disegnavate, scolpivate, bevevate, fumavate, rincorrevate, vedevate in tv, collezionavate, indossavate, accompagnavate. I vostri genitori vi consideravano autorevoli nella stupidera, nell’isteria, nel parossismo, nell’impeto contestatario a prescindere, nell’anarchismo, nella passione, nella lunaticità e in tutto quel dire tutto e il contrario di tutto dall’oggi al domani, o vi facevano sì con la testa nel migliore dei casi, e nel peggiore vi dicevano di stare zitti che c’era il telegiornale della sera?
Punto quarto: io una come Hannah Baker vi giuro che l’ho pure baciata, una volta. Poi l’ho rivista in tv ma io avevo quasi cinquant’anni e lei non solo era ancora alle superiori ed era in America, ma era pure in una serie di Netflix e quindi non mi ha riconosciuto. Non ho potuto però fare a meno di notare la somiglianza, oltre che a tutte quelle ragazze che come dicevo sopra ce n’era almeno una in ogni scuola e quelli come me se ne innamoravano a prima vista, con un’altra specie di Hannah Baker che ho incontrato nel 1988 nel video di Morrissey della canzone “Everyday is like Sunday”, guardate qui:
La tipologia è la stessa. Ragazze così ai sedicenni fanno il cuore a coriandoli e poi li gettano in aria per festeggiare chissà che cosa. A sedici anni, a meno che non ti vuoi suicidare, c’è sempre qualcosa per fare festa.
“Nel peggiore dei casi”, presente.