Ieri sera al tiggì uno scrittore emergente ha detto una cosa che penso anch’io, e cioè che quando scrivi non ti interrompe nessuno come quando parli, non si hanno interlocutori pronti a condividere le loro osservazioni o zelanti commentatori che, perdonate il francesismo, non perdono l’occasione per farti la punta al cazzo. Si riferiva evidentemente ai suoi libri, ma io mi sento di aggiungere che i lettori dei libri che scrivi non li incontrerai mai se non per firmare qualche anonima copia, mentre il pubblico che ti ascolta c’è anche sull’internet ma il bello della differita è che puoi moderare, cancellare, modificare, far finta di niente, bloccare, bannare, oscurare e persino suicidarti telematicamente, non so se mi spiego. Non fraintendetemi: sto seguendo anch’io “Th1rteen R3asons Why” e da genitore di figlia adolescente non mi permetterei mai di sottovalutare i pericoli delle tracce che lasciamo in rete e, in certi casi, a cosa inducono.
Sono perfettamente consapevole che quando digitalizziamo una cosa, una foto, un pensiero, un movimento, possiamo fare ciao con la manina a quella parte di noi. Ma è anche vero che quanto più cerchi la popolarità o comunque di metterti in mostra tanto meno nessuno, riperdonate il francesismo, ti si incula di pezza, quindi i Paolini del web, che il popolo identifica genericamente come troll e che si intromettono ovunque ci sia uno scorcio di visibilità, è giusto che subiscano il trattamento che si meritano.
Io però mi riferivo a un’altra cosa. In questo incommensurabile territorio di conquista per i seminatori di pareri personali e informazioni soggettive incontrollabili, come si fa a intravedere anche un piccolo barlume di evoluzione della nostra civiltà e di predestinazione per la costituzione di un ambiente unico multidisciplinare per la conservazione e la divulgazione del tutto? La letteratura su Internet, l’arte su Internet, la politica sui canali di Internet in cui va in onda la democrazia diretta, gli incontri casuali e duraturi tra persone su Internet, le vite delle persone stesse su Internet.
E probabilmente l’Internet, con tutta l’armata di socialcosi che ha messo in campo, ci ha preso per sfinimento e nessuno ha più voglia di far finta di essere qualcun’altro, ma io preferisco non abbassare la guardia. Se tutto può essere rielaborato, fotoshoppato, stretchato e editato si fa preso a prendere una cantonata. I conta-frottole ci sono anche dal vero, e probabilmente sono sbarcati da questa parte del monitor perché qui se vuoi rifarti una vita c’è posto per tutti. Ma il bello della scrittura, online e offline, è che puoi raccontare, argomentare, asserire o negare quello che vuoi e nessuno può zittirti mentre scrivi, a meno di un black-out in un momento in cui hai la batteria del laptop allo zero percento. Io però sono per una via di mezzo e anche a me piace, come allo scrittore che rispondeva alle domande del giornalista, la possibilità di non essere messo a tacere oppure oggetto di obiezioni. Non è nel mio carattere schivare le critiche e le osservazioni, ma preferisco raccogliere tutte insieme e confrontarmi alla fine, anche se ad oggi non so ancora alla fine di cosa.
Un pensiero su “alzate la mano uno per volta grazie”